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«Popolari flessibili contro la crisi»

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E se annunciando il via libera di Bruxelles al piano comunitario da 200 miliardi di euro il presidente Ue Josè Manuel Barroso parla giustamente di «risposte senza precedenti per una crisi senza precedenti», anche su scala nazionale l'esecutivo sta mettendo in campo misure eccezionali. La più interessante è senza dubbio quella che le cronache politiche hanno battezzato, con una formula poco felice, «decreto salva-banche». Un articolato corpus di provvedimenti che prevedono, oltre a diverse forme di garanzie su depositi e passività, sblocco dei conti dormienti, via libera a swap temporanei tra titoli di Stato e strumenti finanziari in mano agli istituti, anche la concreta possibilità che il Tesoro entri nel capitale delle banche. Per tutto il 2009 via XX Settembre potrà concedere la garanzia dello Stato sulle obbligazioni emesse dagli istituti di credito a partire dalla data di emanazione del decreto, il 13 ottobre. La Camera ha già dato il suo via libera, l'aula di Palazzo Madama farà altrettanto entro il prossimo otto dicembre. A ciò devono aggiungersi le misure recentissime del Governo, contenute nel decreto legge «anticrisi». Benché il sistema bancario italiano continui a risultare assai meno esposto di altri in quelle attività di finanza strutturata che hanno originato la crisi, è più che lecito prevedere che non pochi istituti ricorreranno a queste misure. Altrettanto lecito è prevedere che il sistema delle banche popolari ne avrà meno bisogno. Per due ordini di ragioni: in primo luogo la stessa natura del credito popolare cooperativo, che oggi rappresenta circa un quarto del mercato italiano; in secondo luogo i semplici conti che la categoria ha archiviato negli ultimi anni. Se la maggiore «virtuosità» del sistema bancario italiano rispetto ai competitor extranazionali sta soprattutto in una maggiore propensione al segmento retail e al modello «originate and hold» in alternativa all'«originate and distribute», tali caratteristiche appaiono decisamente esaltate all'interno delle Popolari. Oltretutto, come dimostrano recenti autorevoli ricerche, la quota di mercato del Credito Popolare potrebbe raggiungere in tempi affatto lontani circa il 30% a fronte dell'attuale 25%. Il principio del voto capitario, la struttura cooperativa, lo spiccato localismo e radicamento alla struttura produttiva dei territori preservato anche nelle banche popolari che hanno raggiunto le maggiori dimensioni, sono tratti quasi ontologicamente antitetici al funzionamento di certi mercati finanziari. Proprio nella virtù dell'essere rimaste ancorate alla funzione di elargire credito alle piccole e medie imprese, piuttosto che avventurarsi nei mercati dei derivati risiede la scelta di fondo, per così dire «anticiclica», delle Banche Popolari. Senza dimenticare altri due aspetti. Primo, che la percentuale di utile netto da mettere a riserva legale è quadrupla rispetto alle normali banche spa, il che è già di per se una fortissima garanzia di solidità aggiuntiva. Secondo, che la struttura cooperativa a mutualità non prevalente, che esclude un capitale di controllo in senso tradizionale e ne fa delle «border line» nel sistema molto vicine a ciò che realmente dovrebbe essere una public company, le mette in condizione di esprimere democraticamente un management particolarmente attento al presidio del territorio. Giuseppe De Lucia Lumeno Segretario Generale di Assopopolari

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