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Il laboratorio Roma ha funzionato. La città è cresciuta e ...

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«Ora è il tempo dell'eliminazione delle barriere e degli ostacoli» spiega a Il Tempo, Luigi Abete, presidente della Unione degli Industriali e delle imprese di Roma (Uir) e della Banca Nazionale del Lavoro. Roma cresce a ritmi quasi cinesi secondo le statistiche degli anni scorsi. Le chiedo se è tutto vero. E se è veramente un modello da esportare? Uso per Roma la parola «laboratorio positivo della crescita». È tutto vero. Le ultime amministrazioni che si sono avvicendate sul Campidoglio hanno individuato la direzione giusta. Ora la sfida è accelerare la crescita che è stata poggiata su una serie di fattori importanti. Quali sono i principali? Il primo è la capacità di integrare e di includere tutti i cittadini nello sviluppo. Il secondo è la politica di investimento attuata in questi anni: dall'Auditorium, alla realizzazione delle nuove linee di metropolitane. Infine, il terzo, è la volontà di accompagnare la sburocratizzazione dell'economia romana verso un modello post-industriale Cosa intende per post-industriale? Un modello di sviluppo basato su valori immateriali e qualità del servizio. E che identifica il concetto dell'entertainment (tutto il business che è legato al tempo libero ndr) non solo come politica dell'immagine ma come un'autentica industria del tempo libero. Il successo di Roma è tutto qui? Sì. Sono tre scelte strategiche che vanno confermate da chiunque assuma la responsabilità di governare la città. Non deve però mancare anche la quarta componente che ha fatto da collante a queste tre. Ed è il valore della «condivisione». La Capitale ha anticipato in questo senso anche un metodo politico che non demonizza l'avversario e che cerca di trovare una sintesi sulle scelte. Insomma un clima civile nelle relazioni tra le forze politiche che solo ora sta entrando come metodo anche a livello nazionale. Ora viene il bello. Siamo alla vigilia di un cambio della guardia nel governo comunale. Che bisogna fare adesso? È urgente accelerare spingendo a fondo i quattro punti che vi ho identificato. Poi bisogna lavorare per eliminare i molti ostacoli che ancora rimangono. Che io chiamo buche e barriere. Nel senso vero del termine? Quelle che troviamo sulle strade della città? Diciamo che eliminare le buche significa migliorare la qualità nella gestione delle infrastrutture. Non solo scelta e costruzione, dunque. Ma anche capacità di qualificarne l'utilizzo. Quando parlo di buche penso però anche a quelle che assillano la vita degli automobilisti e di chi va in moto. Non lo dico da ora. Già negli atti dell'assemblea dell'Unione industriali di Roma dello scorso dicembre ho messo in evidenza che la collettività e il governo della città non può più chiudere gli occhi davanti al dato impressionante delle morti in incidenti automobilistici nella provincia di Roma. Uno al giorno. Circa 350 all'anno. Troppi. Altre barriere da eliminare? La grande sfida che ha di fronte Roma è la liberalizzazione e l'ottimizzazione dei servizi pubblici. Dico in parole semplici: trasporti e nettezza urbana. È un problema che hanno tutte le aree metropolitane perché ancora non si è trovata una soluzione per aumentare la qualità dell'offerta e della domanda. Ma anche qui tralaltro occorre sperimentare delle formule per consentire un cambio di marcia. Per finanziare questo processo penso alla mole enorme di risparmio del Trattamento di fine rapporto dei lavoratori, arrivato oggi nei fondi di investimento, e che non ha ancora trovato una sua espressione. Non mi dispiace l'idea che, il cittadino-risparmiatore, finanziando iniziative imprenditoriali dalla raccolta dei rifiuti, ad esempio, avesse il doppio ruolo di utente ma anche di colui che può ricavare un ritorno sul reddito prodotto Arriviamo alle banche. Al loro ruolo nella crescita di Roma. C'è una possibilità in cui chi dà credito lo dia anche a chi non è in grado di portare garanzie? Le banche di oggi sono culturalmente diverse rispetto a quelle del 1992. Allora erano pubbliche. Oggi, al contrario, sono imprese al pari delle altre. Devono fare il loro mestiere. Dare qualità, ridurre i costi e fare profitti. Dunque se la banca è commerciale non può fare l'investitore, se fa l'investment banker deve entrare nel capitale aziendale e aspettare il ritorno. Insomma non c'è più la visione di una volta ma solo la valutazione della convenienza. Dove è allora il collo di bottiglia? Il problema è che abbiamo migliaia di persone negli uffici delle banche che devono valutare il merito di credito del progetto. E non è un mestiere semplice perché l'errore è un grande problema. Dall'altro lato abbiamo l'imprenditore che deve dare gli elementi per valutare. Un lavoro spesso non semplice. La sfida è far crescere la comunicazione tra le parti. Solo così tutti possono avere almeno una parte di quello che si attendono. Posso assicurare, per esperienza, che quando due persone non comunicano la responsabilità è di entrambi. Su cosa possono contare allora le imprese laziali in termini di garanzie per portare a termine i loro progetti imprenditoriali? Nel Lazio stiamo valutando il ruolo della Bil, la Banca di garanzia per le imprese del Lazio. Era nata con finalità diverse. Non l'abbiamo accantonata perché il suo ruolo può diventare importante. Quello che manca a noi, in Italia e nel centro sud, sono gli investitori che vanno sulla piccola impresa. Le medie, infatti, si sono conquistate la fiducia dei fondi internazionali. Che vedono nel loro dinamismo un'occasione di redditività. Per le piccole servono società finanziarie di «prossimità» che investano somme proporzionate alla loro dimensione. Un grande fondo non si mette nemmeno nel finanziamento di 300 mila euro all'azienda di Testaccio o del Tuscolano. Servono strumenti e fondi ad hoc. Lo spazio di mercato da riempire c'è. Ha mai pensato di fare il sindaco di Roma? Ho avuto più offerte per responsabilità di vario tipo. E da più soggetti. Non le ho prese in considerazione perché ritengo valido il principio che «c'è un tempo per ogni cosa». La domanda che mi sono sempre posto allorché si è manifestata l'ipotesi e di fronte all'invito è: «Un politico in più e un imprenditore e rappresentante di associazioni in meno alla società è utile o no». Finora mi è sembrato di no. Dunque per adesso rispondo che faccio l'imprenditore e il rappresentante degli imprenditori fino a dicembre di quest'anno e non ho mai considerato opportuno interrompere un mandato. Nel lungo termine vivremo e vedremo. Parliamo di Confindustria che alle elezioni sembra pendere più a sinistra. Che ne pensa? Le scelte dei singoli imprenditori sono personali e vanno rispettate ma non impegnano l'associazione che deve mantenere la tripla A e cioè: Autonoma, Apartitica e Agovernativa. Questo è l'unico modo per essere utile agli associati e insieme concorrere all'interesse generale. Non c'è il rischio che la Bnl che presiede, ora in mani francesi, si allontani dal tessuto romano? Assolutamente no. Gli imprenditori romani possono stare tranquilli. Il passaggio della proprietà della banca ai francesi non cambia nulla in termini di credito alle imprese romane. I dipendenti sono sempre gli stessi. Anzi abbiamo assunto 700 giovani per rinforzare la nostra operatività. Voglio dire che la banca resta sempre con la sua identità. Non solo. Il nostro impegno è ancora più forte sul territorio. Prova ne è il fatto che le quote di mercato nelle regione stanno crescendo e che abbiamo intenzione di aprire nuovi sportelli nei prossimi anni, una parte dei quali nel Lazio. Siamo una banca di Roma e restiamo a Roma. E le decisioni restano qui da noi. Nessun cambiamento. Parlare un po' francese in questo caso aiuta? Oggi sì. Quando facciamo operazioni finanziarie siamo la quinta banca in Italia ma abbiamo la maggiore capacità di fuoco in termini di credito. Questo perché grazie alla holding francese, infatti, abbiamo un rating più elevato rispetto a tanti concorrenti. Possiamo comprare il denaro a costi più bassi e i vantaggi del risparmio li trasferiamo ai clienti italiani. Sempre a proposito di francesi. Cosa ne pensa del dossier Alitalia? Della proposta di Air France e della difesa a oltranza dell'italianità della compagnia? Premetto che nella veste di presidente di una banca posseduta da Bnp Paribas, francese, non mi è mai stato chiesto alcunché, nemmeno un'opinione sul dossier dai vertici di Parigi per evitare qualsiasi fraintendimento. La cosa che mi sembra veramente inopportuna è lo stop and go. Queste accelerazioni e improvvise frenate sulla vendita all'una o all'altro fanno solo male ad Alitalia. La cosa importante è solo la chiarezza e la trasparenza. Se c'è una cordata alternativa che vuole contendere la proprietà ai francesi si facci avanti. Altrimenti fine delle polemiche e si venda a chi può comprare. Altro fatto quello della compagnia di bandiera. Un falso problema. Chi vuole mettere il tricolore sulle ali dei suoi aerei lo faccia senza problemi. Nessuno lo ostacolerà se vorrà chiamarla compagnia di bandiera. Infine quanto alla difesa a oltranza dell'italianità di Alitalia, non ho mai condiviso questo valore. La storia delle scalate bancarie lo dimostra. Vince chi ha i capitali ed è più bravo. Ha toccato la stagione dei furbetti del quartierino. La sua linea nel tempo si è dimostrata quella vincente. Che cosa rimane di quel periodo? Nelle mie scelte a difesa della banca dagli assalti degli immobiliaristi di allora ho sempre rispettato e chiesto di far rispettare a tutti le leggi, autorità comprese. E sapevo di vincere perché avevo l'azienda con me. Tutti i sindacati di ogni estrazione hanno sposato la mia tesi. E non era una cosa facile. Qual è stata la svolta di quella vicenda? La testardaggine nel cercare l'ingresso in un network internazionale. Una cosa che ho cercato prima quando ho spinto per una partnership con il Bbva (la banca spagnola di Bilbao ndr) e con le Generali. Ma Banca d'Italia non diede l'autorizzazione. A quel punto se fossimo entrati in un'aggregazione con una banca italiana sapevo che saremmo diventati una rete. E saremmo rimasti asfissiati. Poi è arrivata la Bnp Paribas di Baudoin Prot. Un'offerta più alta di tutte quelle mai fatte per Bnl. Mi chiamarono dal Bbva chiedendo quale atteggiamento tenere. Ho detto loro: «L'offerta migliore vale per tutti». A quel punto chiamai Prot, che non avevo mai conosciuto prima di allora. Non se lo aspettava. Lo informai che dopo mezz'ora sarebbe uscito il comunicato che il Bbva avrebbe accettato l'offerta. Una schiettezza e un'attenzione esclusiva all'interesse dell'azienda. Forse anche per questo mi hanno proposto di rimanere a rappresentare Bnl come presidente. Questo il passato ma cosa state facendo voi come industriali per Roma? Stiamo mettendo a regime i grandi investimenti di Roma. Fiera di Roma e Centro Congressi sono belle iniziative ma pensate in un'epoca storica diversa ora è fondamentale vedere cosa si fa nei prossimi 6-12 mesi. Su Fiera di Roma dobbiamo aprire ai grandi mercati internazionali e bisogna trovar partner internazionali. E dico finanziari, non commerciali, quelli cioè che mettono i soldi e aspettano un dividendo.

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