Dati Unioncamere
È quanto emerge dai dati raccolti dall'associazione delle camere di commercio presieduta da Andrea Mondello sui giudizi delle agenzie di rating sulle Pmi italiane in vista dell'entrata in vigore del nuovo accordo di Basilea 2 sulle gestione del credito bancario. Ad essere affidabile (cioè ad aggiudicarsi il livello di investment grade) è il 43% delle aziende, mentre circa il 57% è ritenuto vulnerabile o molto rischioso. In particolare, si legge nelle tabelle di Unioncamere (elaborate insieme a la R&S di Mediobanca), il 44,4% si colloca in una fascia di potenziale fragilità, mentre il 12,5% delle imprese versa in condizioni di palese criticità. I settori che nella manifattura mostrano un profilo di maggiore solidità sono l'estrattivo, il chimico-gomma, il metallurgico e il cartario-editoriale. In particolare nell'estrattivo l'83,4% delle pmi è in investment grade, il 13,9 è ritenuto vulnerabile, mentre solo il 2,7% è giudicato molto rischioso. All'estremo opposto nella scala delle fragilità si posizionano invece il settore alimentare-bevande e soprattutto il tessile-abbigliamento-pelle, che da qualche tempo sta mostrando segnali di difficoltà, messo alle strette dalla concorrenza internazionale di prodotti a basso costo. In particolare molto rischiose sono giudicate il 26,8% delle pmi tessili, mentre oltre il 47% è vulnerabile. Emerge inoltre che a livello geografico l'area di centro comprendente Marche, Toscana e Umbria abbia il posizionamento meno soddisfacente, poichè circa il 35% delle società che vi operano appartengono proprio alla filiera del tessile-abbigliamento. Percentuale che invece oscilla tra il 12 e il 14% nelle altre aree. Nord Est e Nord Ovest sono invece le aree finanziariamente più solide. La dimensione aziendale, misurata per fatturato, si conferma come elemento di incidere in modo significativo sul profilo di rischio dell'impresa. Più ricca è l'azienda, minore è ovviamente la vulnerabilità.