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Capitalia, Pirelli prepara l'addio al Patto

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Tronchetti Provera accelera i piani per dismettere la quota dell'1,92%. Interesse di Lamaro e Fonsai

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La cessione della quota dell'istituto capitolino in pancia al gruppo della Bicocca, pari al'1,92%, era finora rimasta allo stadio di ipotesi. L'intenzione di liquidare il pacchetto di azioni era stata manifestata a giugno scorso da Marco Tronchetti Provera. Così come allo stato di ipotesi era rimasta l'uscita da Mediobanca. Ora causa la necessità di contare su mezzi freschi per ripianare parte dei debiti contratti dalla galassia della compagnia telefonica, i contatti fra Tronchetti e Geronzi sono ripartiti. E presto potrebbe arrivare anche una comunicazione formale sul possibile disimpegno. Da una parte, l'operazione consente di accelerare il processo di riassetto del gruppo Telecom, in attesa che il neo presidente Guido Rossi scopra le sue carte. Dall'altra, fa affluire denaro nelle casse di Pirelli, visto che la plusvalenza sarebbe consistente. Ai valori di mercato, venerdì il titolo della banca romana valeva 6,52 euro, l'incasso per Tronchetti Provera sarebbe di circa 326 milioni di euro. Quanto agli acquirenti il Patto di sindacato di Capitalia prevede la possibilità per i soci di uscire, a condizione che la quota sia redistruibuita all'interno del Patto stesso. Ecco perchè, oltre a concordare l'uscita, Tronchetti e Geronzi avrebbero già individuato gli acquirenti del pacchetto di azioni. La quota starebbe per arrivare nelle in mani sicure come quelle del presidente del gruppo Lamaro, PierLuigi Toti, che ha manifestato l'intenzione di arrotondare la sua partecipazione dell'1,83% detenuta attraverso Cinecittà Centro Commerciale, e quelle di Fondiaria Sai della famiglia Ligresti, azionista della banca romana con il 3,1%. Ieri intanto la situazione e le prospettive di Capitalia sono state illustrate da Geronzi alla convention annuale del gruppo. Al centro dell'attenzione il risiko bancario. «Capitalia ha detto no alla fusione con Abn Amro perchè sarebbe diventata solo una divisione retail, mentre punta a crescere restando padrona del proprio destino» ha spiegato Geronzi ai dirigenti. L'unione con Intesa, poi, peraltro mai formalizzata, non c'è stata perchè non aveva una logica industriale e avrebbe avuto riflessi su Mediobanca, Generali e Rcs, tanto da ridefinire gli equilibri finanziari italiani. Ai dirigenti del gruppo Geronzi ha dato indicazioni sugli ultimi sviluppi dei rapporti con Abn Amro e sulle prospettive della banca. Nella prima settimana di settembre, una settimana prima della scadenza della finestra di scelta che si era lasciato per uscire o meno dal patto di sindacato, è arrivato a Roma Rijkman Groenik, presidente di Abn Amro e primo azionista con il 7,7% e dopo aver detto che sarebbe restato ha proposto a Geronzi la fusione con la grande banca olandese. Saremmo diventati insieme ad Antonveneta una «divisione retail» di Abn e per questo «ho detto decisamente no», ha raccontato Geronzi. In precedenza l'amministratore delegato Matteo Arpe aveva illustrato i risultati industriali del gruppo, gli sviluppi del progetto Delta2.

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