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di FILIPPO CALERI A TIRARE la volata alle aggregazioni bancarie, ancora solo annunciate e mai partite, ...

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E la parola chiave è una semplice parola inglese, ormai entrata nel corrente linguaggio italiano: holding. Sì perché uno degli ostacoli più grandi alle integrazioni tra realtà bancarie consolidate è quasi sempre il timore della soppressione di poltrone e di incarichi che, in genere, seguono le fusioni. Inevitabile, dunque, l'alzarsi di barricate di consiglieri di amministrazione, presidenti e dirigenti contro il pericolo di vedersi svuotati di potere. Così Salza, ben consigliato, ha trovato la quadratura del cerchio: una sola grande holding in cui far confluire le partecipazioni azionarie di Siena e Torino in mano alle fondazioni bancarie di riferimento. Un soggetto incaricato di delineare le strategie di crescita e di rappresentare unitariamente Siena e Torino. E in cui le due cariche più rappresentative: presidente e amministratore delegato sarebbero equamente divise tra i partecipanti. L'ipotesi consentirebbe di mantenere l'operatività bancaria nelle attuali strutture nelle città d'origine. Insomma l'alleanza non cambierebbe niente della parte pratica. Le economie di scala e i risparmi sarebbero sacrificati sull'altare del bene supremo del quieto vivere. Ma l'unione formale ci sarebbe in ogni caso. L'idea potrebbe essere di quelle che possono fare scuola per superare l'impasse in cui il consolidamento del settore bancario si trova. Non bisogna tornare troppo indietro nel tempo per trovare una serie di indicrezioni relative la creazione di una holding in cui far entrare la Capitalia di Matteo Arpe e Cesare Geronzi e la Antonveneta ormai saldamente in mano agli olandesi di Abn Amro. L'ipotesi fu seccamente smentita dall'istituto romano. Le manovre estive. Le ferie sono il miglior periodo per mettere a punto le strategie in vista dei grandi giochi di potere nel settore finanziario. Gli impegni istituzionali sono al minimo così come l'attività corrente. Quanto di meglio insomma per tessere nuove alleanze o rafforzare quelle già avviate. Così ancora una volta è da segnalare l'attivismo del presidente del San PaoloImi che, nei primi giorni d'agosto, ha incontrato il presidente di Banca Intesa, Giovanni Bazoli. Nessun dossier di alleanze sul tavolo, assicurano i bene informati, eppure nei colloqui si è fatto il punto sul ruolo dell'asse Torino-Milano, già sperimentato con successo nella nomina del presidente dell'Associazione bancaria italiana, Corrado Faissola. L'intesa, ormai rodata, potrebbe tornare utile nei giochi che si stanno per aprire. La sposa più volte promessa. Alla fine comunque si parli di risiko e aggregazioni il discorso comincia e finisce a Capitalia. La banca romana è ormai la donzella che tutti vorrebbero sposare. Ma i doni portati in dote dai pretendenti alla fine non riescono a soddisfare la banca capitolina. Così dopo il non certo timido approccio da parte di Banca Intesa per un fidanzamento forzato, bloccato dall'ad Arpe, Capitalia è tornata a far parlare di sè per l'interessamento dell'ad di Unicredit, Alessandro Profumo. Che non pago dei successi ottenuti all'estero con l'acquisizione della tedesca Hypovereinsbank ha deciso di scendere in campo anche sul terreno nazionale. Così le voci si sono moltiplicate sulla sua offerta ai vertici di Capitalia per una fusione che assicurerebbe al nuovo soggetto anche un controllo stretto su Mediobanca e su Generali. Un mossa che metterebbe così fuorigioco nei due salotti buoni della finanza italiana, proprio la Banca Intesa. Arpe però non si muove. Nessun passo, forse in attesa della decisione prevista per settembre quando l'Abn Amro che nella banca romana ha una quota di oltre il 7% deciderà se uscire dall'istituto o rimanere Le Popolari. Non sono solo i big ad affilare le armi per creare gruppi più grandi. Anche le ricche Popolari sono in movi

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