Moody's frena la corsa di Autostrade
Alla fine delle contrattazioni il titolo del gruppo, in gran spolvero dope l'annuncio della fusione con la spagnola Abertis, ha chiuso in ribasso dell'1,78%. Non prima però di avere registrato nel corso della seduta festiva un calo ancora più consistente pari al 2,6%. A rovinare la festa della società guidata da Vito Gamberale è arrivato il commento della società di rating Moody's. L'agenzia internazionale ha messo sotto revisione il giudizio di affidabilità finanziaria. In particolare i tecnici della società temono che una maggiore dimensione e una diversificazione delle attività possa non essere sufficiente per compensare il più debole profilo finanziario del nuovo gruppo rispetto alla posizione di Autostrade. «Inoltre il nuovo gruppo - secondo Moody's - potrebbe perseguire un'aggressiva strategia di espansione in un mercato delle infrastrutture sempre più competitivo ed utilizzare la capacità di debito disponibile rendendo insostenibile il rating già assegnato pari ad A3». A far scendere l'attenzione della speculazione sull'azione di Autostrade ci si è messa anche l'Anas. Che ha convocato Gamberale, per discutere delle questioni giurdiche relative alla maxi fusione. Autostrade Spa, la società oggetto dell'operazione finanziaria, è una holding nella cui pancia si trova Autostrade per l'Italia, vale a dire la titolare della concessione da parte di Anas relativa a oltre 3.800 chilometri di autostrade e valida fino al 2030. L'ad Vincenzo Pozzi ha affidato i suoi dubbi e le sue perplessità sull operazione a una nota dettagliata quanto sintetica diffusa nel pomeriggio di lunedì: dopo di allora è scesa una cortina di silenzio intorno ai vertici di via Monzambano. Nella nota, però, sono già evidenti i quesiti sui quali Anas attende risposte chiare e impegnative. C'è da osservare che la vicenda Autostrade-Abertis cade in un momento di transizione sul piano politico e in questa fase Anas viene a trovarsi sotto i riflettori nel ruolo di baluardo degli interessi non soltanto nazionali ma più precisamente pubblici. Le perplessità sull'aggregazione sono arrivate anche dai sindacati. Per il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, «nel matrimonio tra le due aziende c'è qualcosa che non convince troppo».