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di GIUSEPPE DE FILIPPI AD AUTOSTRADE ci stavano lavorando da tre anni all'accordo ...

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E spiace notare che il momento giusto è stato individuato in questa fase di sostanziale assenza di un governo. Nessuno a disturbare, i ministri impegnati a fare gli scatoloni per lasciare i loro uffici, le autorità pubbliche sempre ferme e super prudenti nei giorni del cambio della guardia, e una delle più importanti famiglie del capitalismo italiano, i Benetton, e i loro soci, hanno pensato bene di dar via la parte sostanziale del controllo di Autostrade per l'Italia. Il progetto formalmente è una fusione, con la spagnola Abertis, ma in queste nozze il coniuge spagnolo rivestirà il ruolo (scomparso anche dai nostri codici ma riesumato per l'occasione) di capo-famiglia. La stampa spagnola.Tanto che, come documentato dalle inchieste de Il Tempo, la stampa spagnola parla apertamente e con legittima soddisfazione nazionale di passaggio del comando di Autostrade in mani spagnole. Insomma, ai loro lettori questa operazione la presentano come un'acquisizione bella e buona. E a un'acquisizione corrisponde, da quest'altra parte del Mediterraneo, una cessione. Lo prova anche l'evidenza dei rapporti finanziari tra i due gruppi. Alla fine della fusione, infatti, il gruppo italiano distribuirà ai suoi azionisti un dividendo straordinario da 3 euro e 75 centesimi per azione. È che cos'è quel dividendo se non il corrispettivo dell'affare con gli spagnoli? E da quando succede che il compratore o chi si fonde alla pari incassi denaro per l'operazione? Buon per i soci (e anche per i tanti piccoli azionisti del gruppo) verrebbe da dire. La perdita di un campione nazionale. Ma ci sono anche tanti risvolti preoccupanti. Intanto si perde un'altra azienda saldamente radicata nella storia economica italiana, con tutti i connotati, anche psicologici, che fecero delle Autostrade e della loro realizzazione in tempi brevissimi (almeno le prime) uno dei simboli e delle cause della straordinaria crescita economia italiana degli anni cinquanta e sessanta. È davvero come vendersi i gioielli di famiglia. Non se ne deve certo fare solo una questione di orgoglio nazionale, che sarebbe discutibile. Ma bisogna porsi, come qualche politico pur in queste ore complicate sta cercando di fare, qualche dubbio sulla convenienza per il sistema Italia di un'operazione del genere. Quando è uscita dall'ambito pubblico la società Autostrade è stata assegnata a privati mantenendo un regime di concessionario unico. Di fatto si è creato un monopolio privato su gran parte della rete autostradale. E lo stato si è anche mostrato molto comprensivo con i nuovi monopolisti privati nella determinazione delle tariffe autostradali, loro principale fonte di reddito in questo business. Una posizione di privilegio che è stata messa anche sul piatto nella trattativa con gli spagnoli. Potremmo dire che i soci di controllo di Autostrade sono andati a cedere all'estero, in cambio di un apporto finanziario, una serie di vantaggi e di rendite di posizione che spettavano loro solo in quanto titolari di uno speciale rapporto con lo stato italiano. Insomma, che hanno venduto qualcosa di cui erano solo i beneficiari temporanei. Non sembra affatto un'operazione elegante, come si sarebbe detto con il linguaggio di altre battaglie economiche. Riassumendo molto si ha l'impressione che il gruppo di controllo di Autostrade, cominciando a ragionare di cessione nel 2003, abbia davvero immaginato di poter gestire un servizio così delicato per le infrastrutture di un paese solo in una prospettiva di tipo finanziario, quasi come un raider che mira al proprio guadagno nel breve termine. Si vince la privatizzazione, si ottiene il mantenimento del regime concessionario con tariffe amministrate comunque convenienti, e poi appena possibile, però, si chiude la partita cedendo e realizzando. Significa rinunciare a quel rapporto virtuoso tra monopolista privato e stato che pure si era sperato potesse nascere. L'idea era che in cambio del regime monopolistico l'azienda si impegnasse in investimenti pe

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