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Ipse, piccoli azionisti pronti allo scontro in assemblea

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Mentre continua la guerra legale con lo Stato sia al Tar che al Consiglio di Stato, si apre adesso un fronte di conflitto interno tra il socio forte Telefonica e un plotone di piccoli azionisti italiani che, dopo aver investito nell'impresa circa 20 miliardi di vecchie lire, si ritrovano con un pugno di mosche in mano e vogliono riavere indietro almeno qualche soldo. Teatro del probabile scontro saranno le prossime assemblee degli azionisti, una lunga serie di appuntamenti che comincia mercoledì prossimo, 5 aprile (in seconda convocazione il 10). Gli azionisti della società telefonica, che era presieduta da Pier Luigi Celli, sono stati chiamati in sede ordinaria per deliberazioni in merito ad alcune nomine e in sede straordinaria per una proposta di modifica dello statuto inerente l'emissione di strumenti finanziari partecipativi. L'appuntamento successivo è fissato per il 26 aprile (in seconda il 28) e si prefigura come un passaggio chiave per il futuro della sfortunata società telefonica: all'ordine del giorno figurano infatti tutti i punti irrisolti (contenzioso con lo Stato e con i dipendenti, bilancio 2005) e le possibili conseguenze, come l'eventuale aumento di capitale sociale o l'ipotesi di mettere in liquidazione la società. Ogni possibile passo, tuttavia, viene visto con allarme dai piccoli azionisti che non hanno sottoscritto la transazione con i soci forti: un accordo che, in cambio dell'impegno a non citare in giudizio Telefonica per il mancato avvio delle attività, prevede la possibilità di ottenere un corrispettivo solo in caso di vendita della licenza, delle frequenze o dell'intera società. «Attendiamo - afferma Giampiero De La Feld, presidente di Res Non Verba, il gruppo di investitori privati del Mezzogiorno all'epoca sollecitati a partecipare in quanto presenza italiana e che finora hanno investito in Ipse circa 20 miliardi di vecchie lire - di conoscere dall'assemblea cosa si intende fare: puntare al contenzioso con lo Stato ci sembra una strada senza speranze, vista l'inadempienza totale della società». Certamente, i piccoli imprenditori non intendono però scucire altri soldi: «Al punto in cui siamo - prosegue De La Feld - vogliamo invece che ci sia riconosciuta parte del nostro investimento. La transazione, che porta qualcosa solo nel caso di una vendita ormai impossibile, ci riconosceva sì e no il 5%. Se invece si vuole continuare così andremo per vie legali».

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