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Enel, Chirac respinge le accuse alla Francia

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Il capo dell'Eliseo: «Noi protezionisti? Parole a vanvera, siamo un Paese aperto»

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Così Jacques Chirac, con la cartellina del vertice europeo appena concluso sotto il braccio, è scattato come un boxeur al gong del primo round: un'arringa, poi una pioggia di cifre, quindi una raffica di contrattacchi conclusi con un «c'est du n'importe quoi»: sono parole a vanvera. Ripetuto dal capo dell'Eliseo tre volte. Dopo il suo soddisfatto resoconto del vertice Ue, il presidente francese, interpellato sulla vicenda, ha risposto: «Quando mi si dice che in Francia c'è protezionismo sono solo parole a vanvera. Un'evidente contro-verità dal momento che siamo il Paese che in Europa è più aperto di tutti agli investimenti stranieri». E per di più, quella di Enel era «un'operazione puramente finanziaria, senza motivazioni economiche, contraria agli interessi degli azionisti e degli Stati francese e belga». E giù con la prima bordata di cifre, tratte dagli archivi del Fondo monetario, capitolo «investimenti stranieri in base al Pil», nazione per nazione: «Se qualcuno afferma che la Francia è protezionista lo deve dimostrare. Noi accogliamo il doppio degli investimenti esteri della Germania e il triplo di quelli dell'Italia. Il 42% in Francia, il 36% in Gran Bretagna, il 24% in Germania, il 21% in Spagna e il 13% in Italia, tre volte meno della Francia», ha sottolineato. Ma non basta: «Da noi un dipendente su 7 nel settore privato è impiegato in società straniere, contro 1 su 10 in Gran Bretagna e in Germania e 1 su 20 negli Stati Uniti». Infine, «il 45% della grande impresa francese è detenuto da imprese straniere, ed è un record in Europa». Il tutto condito da qualche inciso velenoso («Enel, una società sotto il totale controllo del governo italiano», «un'opa ostile su Suez allo scopo di smantellarla») e chiuso da fuochi d'artificio: «il tema del protezionismo francese non è stato affrontato al vertice perchè era una tesi senza argomenti, nonostante le sollecitazioni di osservatori superficiali o malintenzionati». E ancora: «nessuno dei nostri partner che sia serio e documentato vorrebbe fare una riflessione di questo tipo. Avrebbe paura di sentirsi rispondere che farebbe meglio ad andare a scuola». Per finire con una domanda: «Noi francesi protezionisti? Ma se abbiamo banche, assicurazioni, trasporti sotto il controllo straniero. Nessuno con un minimo di competenza può affermare cose del genere». Un'entrata «a gamba tesa», quella di Chirac, che è sembrata ben studiata in ogni parola. E in coda non è mancata un'ultima spruzzata di veleno per sottolineare che «si tratta di cose serie, non si vende sulla bancarella degli ambulanti».

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