Gli artigiani chiedono più attenzione dalla politica
«Il mondo politico ci aiuti, oppure siamo destinati ad affondare. Microrealtà produttive che sono riuscite a rimanere a galla in anni difficili, con una congiuntura economica che soffiava in senso contrario alla rotta e che ora manifestano la necessità di un segnale forte e preciso. Non chiedono un sostegno finanziario, o almeno non in prima battuta, ma soprattutto maggior attenzione. Questo paese è fatto al 94% da piccole e piccolissime imprese, cioè con meno di 10 dipendenti. Che ci piaccia o no questa è l'Italia. La politica ne deve prendere atto. Queste cinque milioni di attività produttive hanno bisogno di risposte». È stato questo l'esordio del presidente della Confederazione Nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa, Ivan Malavasi ieri nel corso di una conferenza stampa. La prima richiesta degli artigiani è quella di abbattere un mostro: la burocrazia. Una piovra che costa agli imprenditori 15 miliardi di euro all'anno. E non si tratta delle spese per tasse, imposte, contributi vari, ma della della semplice "gestione" degli adempimenti amministrativi. Una vera piaga. Se si vuole aprire un'oreficeria, ad esempio, si devono produrre 55 documenti e ci si deve confrontare con 18 centri amministrativi. Mentre per aprire una ditta smaltimento rifiuti si devono ottenere 78 via libera da parte di 28 amministrazioni diverse. Per la più classica delle iniziative, aprire un ristorante, i documenti da regolare sono 70, che è poi il numero medio per inaugurare qualsiasi impresa. Insomma, ridurre gli obblighi burocratici è una vera emergenza, un elemento decisivo per il rilancio della stessa economia nazionale. Il secondo pilastro per rilanciare il mondo degli artigiani è la riduzione delle tasse. Su questo tema la Cna ha una proposta nuova. Niente tagli generalizzati, ma riduzioni fiscali mirate alla modernizzazione e allo sviluppo. Devono essere premiate le aziende che si consorziano, che fanno gruppo e cheinvestono nelle nuove tecnologie. In loro favore è giusto applicare una fiscalità di vantaggio. «Se con la nuova legislatura serviranno risorse, per favore - dicono Malavasi e Sangalli - non spremete ulteriormente i piccoli, da sempre chiamati a sopportare i sacrifici. Gli aumenti fiscali siano invece diretti verso le rendite improduttive». L'ultima richiesta è quella di maggior respiro: una politica industriale nuova che tenga conto, appunto, della realtà del paese, della sua struttura basata sulle micro-imprese e non sulle grandi. Invece in Italia la politica economica è rivolta in gran parte alle grandi imprese, vistose dal punto di vista del numero dei dipendenti e dell'appeal politico ma che, nel totale dell'apparato produttivo italiano, sono poca cosa. È ora di cambiare registro chiede la Cna, forte dei suoi 400 mila associati. Il dito è puntato, esplicitamente, nei confronti di Confindustria, accusata di avere un numero di imprese molto più basso ma di contare più di tutte le altre parti sociali. Ed altrettanto esplicito è il momento scelto dalla Cna per il suo appello. Siamo alla vigilia delle elezioni politiche. È l'ora giusta per avanzare richieste e ottenere concessioni preventive. Malavasi e Sangalli sull'argomento vanno all'unisono. «Noi lo diciamo a Berlusconi e Prodi. Dateci risposte perché i nostri associati votano. E sono tanti». Inutile cercare di strappare dai due dirigenti la preferenza politica. Anzi, elargiscono con equità una randellata a tutti e due. «L'Ulivo approvò la legge Bassanini che moltiplicò i centri decisionali, e quindi le difficoltà dei nostri imprenditori. L'attuale governo ha varato la devolution che rischia di produrre lo stesso effetto».