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Parmalat, revisori e analisti nel mirino

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I primi che avevano tutti gli strumenti per sapere ma fino alla fine hanno taciuto, i secondi che avanzavano dubbi e chiedevano notizie sul gruppo, ma che invariabilmente, fino alla vigilia del crac, assegnavano alla società un «buy, buy, buy». È questa la fotografia del crac da oltre 13 miliardi di euro ricostruita attraverso 317 pagine di dettagliatissime e colorate slides dalla consulente dei pm, Stefania Chiaruttini, nel corso della sua deposizione ieri al processo per aggiotaggio in corso a Milano, a cui era presente anche l'attuale ad di Parmalat, Enrico Bondi. «Nascondere le perdite, nascondere l'indebitamento verso le banche e gli obbligazionisti, nascondere la consistenza del patrimonio netto e le distrazioni della famiglia Tanzi e delle società», con la finalità di «evidenziare una situazione di crescita complessiva». Erano questi a suo giudizio gli obiettivi della falsificazione. Ruolo non trascurabile nella «storia dei falsi» che si possono suddividere in tre tipologie (i falsi materiali, le irregolarità formali e le comunicazione difformi rispetto alla realtà) lo avrebbero svolto, oltre alla banche, i revisori. A un certo punto, ricorda la Chiaruttini, nel '99 avviene «il passaggio di consegne» da Grand Thornton a Deloitte. A Grand Thornton resta la competenza su Parmalat spa e Bonlat, mentre Deloitte assume la qualifica di revisore principale del gruppo. Deloitte, chiarisce la Chiaruttini «mette ordine» nei falsi Parmalat, ma la sostanza non cambia. Tanto che «non viene effettuata nessuna analisi sostanziale del livello di indebitamento», né «alcun riscontro sulle operazioni fittizie ideate per eliminare i debiti in bilancio». Anche se sapevano, i revisori non potevano addentrarsi nelle indagini, altrimenti rischiavano di perdere l'incarico. È questa un'altra verità che emerge dalla deposizione della Chiaruttini. Alle reiterate richieste da parte della Wanderley Olivetti (auditor di Deloitte in Brasile), rivolte ad Adolfo Mamoli (Deloitte) al fine di fare accertamenti sulla Bonlat (definita dalla consulente discarica del gruppo), questi risponde: «se facciamo la verifica rischiamo di perdere l'incarico».

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