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Fiat, banche sempre più tentate a lasciare

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Dopo l'uscita di Mps e SanPaolo, gli altri istituti prendono tempo ma cresce la voglia di vendere

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E i riflettori sono pronti ad accendersi su qualunque movimento, anche quello più normale, che i detentori dei pacchetti mettano in cantiere. Il nervosismo è palpabile se si considera che ieri Banca Intesa, una delle banche coinvolte nel prestito diventato poi parte del capitale, si è affrettata a chiarire agli operatori che la riduzione della quota dell'1% nel pacchetto detenuto (dal 5,583% al 4,580%) non è stata causato da una vendita ma solo a un prestito di titoli legato a una normale operazione bancaria. La precisazione è arrivata con una nota. «Banca Intesa - si legge - ha segnalato alla Consob di essere scesa dal 5,583% al 4,580% del capitale votante di Fiat. Tale diminuzione non è dovuta a una vendita ma consegue esclusivamente al prestito di 12.000.000 azioni ordinarie Fiat effettuato nell'ambito dell'abituale attività di prestito titoli. L'attività di prestito titoli, che Banca Intesa ha contribuito a lanciare sul mercato italiano e sta ulteriormente rafforzando, permette di ottimizzare la redditività dei titoli detenuti in portafoglio». Una semplice operazione, dunque. Ma sufficiente a mettere in allarme i mercati. Che hanno ben punito le operazioni di vendita targate Torino e Siena con un calo del valore che venerdì a Piazza Affari ha sfiorato il 6%. Le azioni, che da aprile del 2005 hanno contabilizzato un progresso del 70%, hanno bruciato il 5,8% chiudendo a 7,82 euro. Ora la palla passa agli istituti che hanno prestato denaro al gruppo guidato dall'ad Sergio Marchionne e si sono trovate ad essere azioniste. Al contrario di Siena e Torino, Roma sembra essere intenzionata a non abbandonare per ora casa Agnelli. Capitalia, ha già fatto sapere solo informalmente di non voler dismettere per ora la sua partecipazione del 3,74%. E sulla stessa posizione ci sono anche (5,99%) e Unicredit (5,01%). I vertici di queste ultime hanno preferito non commentare ufficialmente. Anche se le indiscrezioni hanno confermato che gli istituti siano propensi a restare in Fiat per trarre vantaggio della ripresa del gruppo. Eppure conti alla mano la voglia di monetizzare fa gola se si considera che il titolo era arrivato giovedì ai massimi degli ultimi tre anni. E l'effetto imitativo potrebbe non tardare a manifestarsi se si si considera che il Mps vendendo il suo 2,7% a 239,3 milioni (8,24 euro per azione) ha chiuso l'operazione con una perdita di circa 60 milioni rispetto ai 300 garantiti a Fiat quattro anni fa. A livello contabile però l'istituto toscano registrerà in bilancio una plusvalenza di circa 15 milioni visto che la quota era già stata svalutata di 75 milioni. Dopo la cessione delle quote Fiat la Cisl torinese ha espresso la sua preoccupazione per l'eventuale riapertura di una fase di incertezza nell'assetto proprietario del Lingotto. «Ci stupisce la repentina uscita di San Paolo che ha sempre rappresentato un forte punto di riferimento nelle vicissitudini dell'azienda - ha sottolineato Nanni Tosco, segretario generale della Cisl di Torino - questo accade mentre i lavoratori e il sindacato sono impegnati in un confronto sull'attuazione del piano industriale che potrebbe conseguire, nel 2006, i primi positivi risultati per il consolidamento dei livelli occupazionali e produttivi di Mirafiori».

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