Effetto Iran, petrolio a 70 dollari
L'acuirsi delle tensioni con le Nazioni Unite innescate dall'avvio di nuove ricerche nucleari da parte del governo di Teheran (secondo produttore in seno all'Opec), sta rafforzando di giorno in giorno i timori del mercato di una riduzione delle esportazioni iraniane di greggio come conseguenza delle sanzioni imposte dall'Onu. Ma non è solo l'Iran ad impensierire gli operatori. Un altro fronte caldo è quello nigeriano, dove proseguono gli scontri con gli attivisti del "Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger". I lavoratori del settore petrolifero hanno minacciato ieri di interrompere il loro lavoro e di ritirarsi dal delta del Niger (la zona a più alta concentrazione di pozzi) se il governo non frenerà le violenze. Le associazioni di rappresentanza dei lavoratori si incontreranno la prossima settimana per decidere se mantenere o meno i propri iscritti nell'area. Le tensioni in Nigeria sono scoppiate violentemente quando gli attivisti del Movimento hanno rapito quattro lavoratori stranieri ed hanno attaccato le infrastrutture petrolifere del Paese, in gran parte gestite dalla Royal Dutch Shell. La produzione della Nigeria in questi giorni è ridotta, a causa dei disordini, del 9%. Di fronte alle incertezze politiche di due paesi, che da soli producono il 7,5% del petrolio mondiale, il prezzo del greggio con consegna a febbraio è così balzato a New York a un massimo di 68,75 dollari al barile, il massimo dal 2 settembre scorso, quando l'uragano Rita si sta per abbattere sulle coste degli Stati Uniti. Un livello non troppo lontano neanche dal record assoluto di fina agosto, quando, come effetto del devastante uragano Katrina, il barile è arrivato fino a 70,85 dollari. I prezzi potrebbero comunque scendere se, come previsto dalle ultime stime dell'Opec, la domanda di petrolio dovesse affievolirsi nel secondo trimestre dell'anno, in coincidenza con l'arrivo della stagione primaverile. Secondo il cartello dei produttori, la domanda di greggio estratto dai paesi Opec dovrebbe peraltro scendere nel secondo trimestre dell'anno a 27,7 milioni di barili al giorno, da 30,1 milioni dei primi tre mesi. Stime che, a poco meno di due settimane dal prossimo vertice dell'organizzazione a Vienna, il 31 gennaio, hanno spinto l'Iran, a chiedere di tagliare l'output. Ma, almeno per il momento, la posizione di Teheran non sembra condivisa: Kuwait e Indonesia hanno affermato che i prezzi sono al momento troppo alti per contemplare una riduzione.