A uno sceicco la barca di Tanzi
Il veliero, lungo poco più di 40 metri, è stato ceduto per 4,1 milioni: molto meno rispetto alle prime stime sul valore dell'imbarcazione. Ma le numerose aste tentate per cedere il natante erano andate sin ora tutte deserte. Troppo alta la richiesta iniziale di 6,51 milioni e troppo alti i costi di gestione e ristrutturazione necessari. E dire che pochi giorni prima del crac, il numero uno di Collecchio aveva tentato di offrire la sua barca ai creditori per tamponare un buco miliardario. Una mossa del tutto inutile, anche perchè il Te Vega non è mai stato interamente della famiglia Tanzi. Dopo aver pagato alcune rate, la società di Parma aveva smesso di rimborsare il finanziamento di Capitalia Leasing & Factoring con cui era stato acquistato il veliero. La barca, quindi, in realtà era solo in uso al "re del latte". Adesso la svolta, con la cessione. A firmare l'atto di vendita è stato il notaio di Capitalia Gennaro Mariconda, incassando le garanzie fornite dall'intermediario Roberto Perlini per conto del facoltoso sceicco. Una delle condizioni della transazione, eseguita con l'ausilio dello studio legale Bonelli, Erede e Pappalardo, è stata però quella di rispettare l'anonimato dell'acquirente. Lo Yacht per ora resta alla fonda a Porto Lotti (La Spezia), dove sarà necessario stabilire un costoso piano di manutenzione prima di riportarlo in navigazione. Costruito negli anni '30, il Te Vega è un vero gioiello, tanto bello quanto costoso. Solo per gestirlo, i Tanzi avevano dovuto accollarsi il peso di una apposita società, la Vega Shipping, che era arrivata a contare alcune decine di dipendenti. All'interno della galassia Parmalat, però, i costi dell'imbarcazione erano assolutamente irrilevanti. Il buco emerso dal più grave crac finanziario mai registrato in Italia ha rischiato di superare i 14 miliardi di euro. Un pozzo senza fondo, frutto del continuo ricorso a mezzi finanziari sempre più costosi per far fronte a una dissennata campagna di acquisizioni industriali in mezzo mondo e a una fallimentare diversificazione industriale, dal settore agroalimentare al turismo. A questo fiume di debiti, in gran parte ricaduti sulle spalle dei risparmiatori che avevano acquistato titoli e obbligazioni del gruppo di Collechio, sta tentando di mettere un argine il nuovo amministratore delegato della holding alimentare, Enrico Bondi. Dopo aver avitato il fallimento e riportato a tempo di record la società in Borsa, Bondi sta combattendo un difficile braccio di ferro con le banche, nel tentativo di ottenere diversi miliardi tra revoche e risarcimenti del danno arrecato agli azionisti per non aver messo in chiaro la reale situazione debitoria del gruppo.