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Accuse a Bankitalia tutte preconcette

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Vediamo alcune puntate di tale saga. 1) Si è dato dell'irresponsabile a chi sosteneva l'italianità delle nostre banche, ma poi si è arrivati a proporre la creazione nientemeno che di una Banca del Sud. 2) Dapprima si è detto che la propria offerta di 2.5 euro era il giusto prezzo per una certa banca; poi, però, quando altri hanno offerto 2.70 euro, si è strillato che quella nuova cifra era troppo bassa, e per svincolarsi dall'evidente contraddizione si è partorito il concetto demenziale di offerta «congrua, ma non equa». 3) Taluni hanno accusato Fazio di avere violato certe regole, ma ora chiedono che quelle regole vengano modificate perché consentono una grandissima discrezionalità. Altri hanno invece sentenziato «Fazio non ha violato la lettera, ma ha violato lo spirito della norma», e hanno così prospettato una nuova e sconcertante civiltà giuridica in cui una norma andrebbe applicata non per quanto dice, ma per come viene interpretata, e ovviamente interpretata dal critico di turno. 4) C'è stato chi ha pensato di poter fare della permanenza in carica di Fazio la foglia di fico con cui coprire la vergogna del proprio fallimento a livello di controllo del disavanzo statale. 5) Diversi hanno detto che la gestione delle Opa bancarie creava danni gravissimi all'immagine internazionale del Paese, ma poi a Washington uno dei massimi critici di Fazio non ha esitato a esibirsi in gag davanti alle telecamere di tutto il mondo. 6) In nome del corretto funzionamento del mercato finanziario, le maggiori testate giornalistiche lanciavano un violento attacco a certe operazioni su titoli bancari, ma si affrettavano a stendere una cortina di silenzio su altre operazioni coeve, fatte sui titoli quotati di un fondo e di un gruppo industriale notoriamente connessi alle stesse testate, e che riportavano all'aggiotaggio e alla peggiore tradizione Usa degli anni '90 in tema di uso dei derivati. 7) Si invocava il libero mercato contro la barbarie della discrezionalità di alcune autorità in specifiche questioni, ma per finire poi con il delegare la risoluzione di molte più questioni ad altre autorità dotate di ancora più discrezionalità e minore conoscenza dell'economia. 8) Un interrogativo comunitario posto al governo italiano veniva presentato come una procedura contro Fazio. Non meno contraddittorio risulta il recente volume di Vittorio Borelli, Banca padrona. Esso sviluppa due temi strettamente intrecciati, ma facilmente individuabili nella loro specificità. Il primo riguarda l'evoluzione delle banche italiane e sfocia in una serie di medaglioni, spesso molto critici, dell'operato e delle posizioni di molti nostri banchieri. Il secondo consiste, invece, in una condanna assoluta e inappellabile di Fazio, trattato come il sommo regista negativo di quella evoluzione. Verso la fine del volume, però, quella che sarebbe stata catalogata solo come un'altra delle innumerevoli analisi preconcette diventa un qualcosa di estremamente contraddittorio. Infatti, l'autore comincia a chiedersi cosa il controllo delle banche italiane implichi in termini di controllo di altre imprese e settori produttivi; la risposta è la seguente: «Di chi è oggi la Fiat? D'istinto si è portati a rispondere: della famiglia Agnelli. … Ma basta leggere i giornali per sapere che dal settembre 2005 la quota di maggioranza relativa della casa di Torino, il 27%, è in mano alle banche … E cioè: Banca Intesa, Unicredit, Capitalia, SanPaolo Imi, Bnl, Montepaschi, AbnAmro Bank e Bnp Paribas». Lo stesso discorso viene fatto per Generali, Alitalia, Edison Gemina, Parmalat, Cirio, Yomo, As Roma, Prada, Rcs. Poco prima, Borelli si chiede quale sia la rilevanza della gestione del risparmio italiano per la nostra crescita economica, e risponde: «L'Italia è un Paese che accumula molto risparmio e che ne utilizza poco per lo sviluppo economico. In teoria, se alle proprietà italiane delle banc

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