Il sogno della banca del Nord finisce in manette

L'accusa pr tutti è di associazione per delinquere e riciclaggio. Con loro è indagato a piede libero per concorso, tra gli altri, anche l'imprenditore agricolo Giuseppe Besozzi, uno dei presunti prestanome utilizzati in presunte operazioni di aggiotaggio, come l'Opa della Barilla sulla tedesca Kamps. Nella serata di ieri si sono rincorse anche le voci di altri possibili arresti. Dal mandato di cattura, inoltre, emergerebbero alcune somme di denaro pagate a uomini politici. Le misure cautelari, chieste dalla Procura del capoluogo lombardo sarebbero state firmate nei giorni scorsi dal Gip Clementina Forleo e farebbero perno sulla necessità di una detenzione più dura per l'ex ad di Bipielle e il suo ex direttore finanziario, ritenuti a conoscenza di altri illeciti non rivelati all'autorità giudiziaria. Gran parte delle tesi fatte proprie dai pubblici ministeri si fonda sulle dichiarazioni di ex dirigenti della Lodi - Egidio Menclossi, Donato Patrini e Marco Sechi - che avrebbero scoperchiato un sistema dietro il quale si nascondevano numerosi illeciti finanziari. Con l'utilizzo di prestanome, come Besozzi, Fiorani e altri dirigenti dell'ex Lodi si sarebbero enormemente arricchiti. Emblematica, in tal senso, la vicenda di Besozzi, presentato da Menclossi al braccio destro di Fiorani, Spinelli. Besozzi, socio storico della Lodi, era il punto di riferimento di quei 12 imprenditori agricoli che avevano ricevuto finanziamenti per oltre 290 milioni di euro dalla ex Lodi per acquistare azioni Antonveneta rivendendole poi alla stessa banca o ad altri soggetti a lei vicini, realizzando plusvalenze. Ma Besozzi era comparso nell'inchiesta anche per la vicenda legata all'acquisto di azioni Kamps, la società tedesca acquistata dalla Barilla con l'assistenza della Bpl. In quell'operazione Besozzi avrebbe ottenuto un affidamento per acquistare titoli Kamps e realizzare anche in questo caso una cospicua plusvalenza. Si sarebbe trattato quindi di uno schema collaudato pronto per essere utilizzati al momento della scalata Antonveneta. Le fortune realizzate, secondo l'accusa, sarebbero finite sui conti personali di Fiorani e dei suoi più stretti collaboratori, come Spinelli, al quale risulta intestao il 50% delle partecipazioni di Liberty, la società cui faceva capo la villa di Cap San Martin, sulla Costa Azzurra, riconducibile secondo i magistrati proprio all'ex ad. Ma oltre ai guadagni illeciti per i manager e ai soldi destinati a uomini politici (coperti da omissis), nell'ordinanza di custodia cautelare emerge la prassi di scaricare le perdite sui conti correnti dei risparmiatori attraverso addebiti fittizi e commissioni. L'ordinanza disegna in sostanza un sistema di collaudate spartizioni di denaro fra Fiorani, Boni e Spinelli. Ai tre, infatti, secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, andava il 60% dei proventi delle operazioni finanziarie compiute dai cosiddetti «clienti privilegiati», i quali ricevevano il restante 40% di guadagno. Operazioni speculative fatte attraverso "dossier" personali dei clienti, gestiti direttamente dalla banca e separati dai loro conti correnti normali. Ieri, intanto, sempre nell'ambito dell'inchiesta sull'Antonveneta, è finito nel registro degli indagati il costruttore Vito Bonsignore.