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G20 unito contro il caro petrolio

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L'appello a unire le forze contro il caro-petrolio arriva dal G20, il vertice dei paesi più industrializzati insieme a quelli in via di sviluppo, convinto che per uno sviluppo "più equilibrato e sostenibile" dell'economia sarebbe anche "auspicabile che le negoziazioni commerciali nell'ambito del Doha Round si chiudano entro il 2006". Una spinta potrebbe arrivare anche da un'eventuale riforma del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, istituzioni delle quali sia i paesi emergenti come la Cina sia gli Stati Uniti vorrebbero avere a che fare con un unico interlocutore europeo. «Crediamo che quotazioni petrolifere prolungatamente elevate e volatili possano rallentare la crescita e provocare instabilità nell'economia mondiale. Al fine di stabilizzare i prezzi del petrolio a un livello ragionevole, ci siamo accordati per lavorare insieme e appellarci alla comunità internazionale per rafforzare la cooperazione così da migliorare sia la capacità di produzione sia quella di raffinazione», si legge nella bozza del comunicato finale che il G20 renderà noto oggi. Il Fondo Monetario Internazionale, pur confermando che nel 2006 la crescita economica mondiale sarà del 4,3%, stima per il prossimo anno che il petrolio viaggerà in media sui 61,75 dollari al barile, in aumento quindi rispetto ai 54,23 del 2005 ed ai 37,76 del 2004. «Un incremento questo», ha osservato il direttore del Fmi, Rodrigo De Rato, «che fa crescere i rischi per lo sviluppo». Le quotazioni petrolifere elevate e volatili potrebbero alimentare gli squilibri mondiali, ha constatato il G20, osservando come a questo si aggiunga il ritorno di «sentimenti protezionistici commerciali». Nel documento conclusivo non dovrebbero esserci accenni ai tassi di cambio. Tema questo sollevato, in apertura dei lavori, dal presidente cinese Hu Jintao che, senza far alcun riferimento allo yuan, ha chiesto una maggiore responsabilità dei paesi ricchi a mantenere stabili i tassi di cambio. La Cina, che per la prima volta ospita il vertice, è da diversi mesi sotto pressione, con Stati Uniti e Ue chiedono più flessibilità allo yuan. Un primo passo Pechino l'ha compiuto in luglio, sganciando la propria moneta dal dollaro e rivalutandola. Uno sforzo non ritenuto sufficiente da più parti.

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