Piccoli imprenditori al riparo dai fallimenti
Con la riforma del diritto fallimentare, approvata ieri dal Consiglio dei ministri, è stata ridotta ai minimi termini la categoria di piccole imprese che potranno essere assoggettate alla procedura fallimentare, evitando così tutte quelle conseguenze economiche e sociali che si riversano su chi non è riuscito a vincere la sfida del mercato. La riforma, che dopo 63 anni manda in soffitta le vecchie regole del 1942, introduce anche procedure più rapide per risolvere la crisi d'impresa, più spazio alle trattative tra creditori e debitori e un ruolo del giudice meno invasivo. Soddisfatto il Guardasigilli, Roberto Castelli: «È un altro fiore all'occhiello della nostra legislatura. Con il nostro governo sono state attuate riforme mai fatte nella storia della Repubblica». Castelli parla di una vera e propria «rivoluzione copernicana nei confronti del fallito, che non diventa più il colpevole meritevole di non avere diritti civili e di non votare più per cinque anni», ma «un imprenditore che può aver avuto un infortunio durante la sua attività». La nuova legge sui fallimenti va ad aggiungersi alla riforma del diritto societario, la cosiddetta legge-Vietti, dal nome dell'ex sottosegretario alla Giustizia, ora passato all'Economia, che ha seguito tutto l'iter del provvedimento. Il nuovo diritto fallimentare, anche secondo Michele Vietti «ha una filosofia rivoluzionaria». Il provvedimento adesso passa alle Camere che avranno sessanta giorni di tempo per i loro pareri. Intanto arrivano le prime critiche da parte di due decani del diritto tributario e delle società, come Guido Rossi e Franzo Grande Stevens - avvocato il primo, fiscalista il secondo. «Questa riforma va nella direzione opposta a quella di un sistema economico liberale - afferma Grande Stevens - In questo modo si va a minimizzare il rischio d'impresa alla base di un vero capitalismo evoluto». Rossi mette in dubbio le linee fondamentali della riforma, quella «premiale, in cui la visione sanzionatoria viene ridimensionata», e quella «contrattualistica, in cui viene lasciato ampio spazio agli accordi tra creditori e debitori». Critici anche i Ds che parlano di «occasione mancata». Positivo, invece, il giudizio di Unioncamere. Più ampia area esenzione. Viene ridotta l'area dell'assoggettabilità a fallimento dei piccoli imprenditori, così da garantire che siano gestite situazioni effettivamente rilevanti per gli interessi coinvolti, evitando gli effetti dilatori propri dell'attuale automatismo. Si considerano piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente: hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore non superiore a 300 mila euro; in qualunque modo risulti che hanno realizzato ricavi lordi, calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo fino a 200 mila euro; si prevede la rivalutazione di tale limite ogni cinque anni secondo gli indici Istat con un decreto interministeriale, così da poter garantire un aggiornamento nel tempo del limite. Riduzione dei tempi. Al rito fallimentare si applicheranno le regole del processo in camera di consiglio. Ciò consentirà di applicare una procedura più veloce che abilita le parti a far definire in tempi più ragionevoli il processo e, allo stesso tempo, al giudice di riappropriarsi del proprio ruolo fondamentale, fondato sull'espressione della potestà di decidere le questioni controverse tra le parti piuttosto che, come attualmente avviene, di gestire amministrativamente la procedura. Più poteri per comitato creditori. Il comitato dei creditori vede rafforzate le proprie competenze sulla decisione relativa alla complessiva gestione della procedura e questo anche per valorizzare le residue capacità propulsive dell'impresa. Il curatore fallimentare, che non deve più necessariamente essere una persona fisica, ma può essere uno studio professionale associato o