Pensioni, si sblocca la trattativa sul Tfr
Raggiunto l'accordo tra banche e ministero del Welfare sull'accesso al credito delle aziende
Il ministero del Welfare e l'Abi infatti hanno raggiunto un accordo sulle modalità di accesso al credito per le imprese che rinunceranno al tfr (trattamento di fine rapporto) come fonte di autofinanziamento e questa intesa di fatto rende più vicino il via libera all'approvazione del decreto di attuazione della riforma della previdenza dal Consiglio dei ministri prima del 6 ottobre, data di scadenza della delega. Il problema del finanziamento delle aziende che saranno private del tfr stava per compromettere tutto l'impianto della riforma. Adesso le banche si sono impegnate a fornire credito a tutte quelle imprese che ne faranno richiesta, salvo che non si trovino in condizioni critiche dal punto di vista della solvibilità. Vale a dire che l'accesso al credito è sbarrato se l'impresa è interessata da una procedura concorsuale o è in fallimento. La Confindustria ha espresso preoccupazioni sul fronte delle compensazioni alle imprese che rinunciano al Tfr dopo le dimissioni di Domenico Siniscalco dall'Economia, ma dal ministero del Welfare fanno trapelare ottimismo sulla possibilità di trovare al più presto un'intesa con il nuovo ministro, Giulio Tremonti, sullo stanziamento di risorse adeguate. Mentre il ministro del Welfare, Roberto Maroni esprime soddisfazione per l'accordo raggiunto con l'associazione delle banche dopo settimane di negoziato, l'Ania (associazione delle imprese di assicurazioni) ribadisce le proprie critiche al decreto definendolo «incostituzionale» e non conforme alla delega di riforma delle pensioni. Secondo il presidente dell'Ania, Fabio Cerchiai, il provvedimento è «immorale e iniquo oltre che incostituzionale», e viola le regole della concorrenza. In particolare l'Ania considera inaccettabile che il contributo del datore di lavoro sia conferito alla previdenza integrativa in aggiunta al Tfr solo nel caso che questo sia versato a un fondo previsto da un accordo collettivo. In questo modo - sostiene l'associazione - di fatto il lavoratore che sceglie un fondo non contrattuale, rinunciando al contributo aziendale, perde almeno il 20-30% delle risorse da destinare alla previdenza complementare. Nei contratti infatti in media il contributo del datore di lavoro si aggira tra il 2% e il 4% della retribuzione annua lorda, a fronte del 7% della retribuzione rappresentato dal Tfr. Sul fronte dell'accesso al credito la soluzione individuata dal protocollo tra Abi e ministero prevede che tutte le aziende ricevano dalla banca che aderisce all'intesa il finanziamento alla "prima richiesta", purché non siano in stato fallimentare o in procedure concorsuali. Quindi si tratta di un accesso automatico, come chiedevano le imprese, ma con dei paletti in merito alla valutazione sulle possibilità di rimborso del prestito. Sulle nuove regole resta prudente la Confindustria che, con il vicepresidente Alberto Bombassei, sottolinea come le dimissioni di Siniscalco abbiano «ulteriormente complicato le cose». Le imprese hanno più volte dichiarato che il finanziamento per le aziende che conferiscono il Tfr ai fondi pensione deve essere automatico e che non deve prevedere costi superiori a quelli che hanno attualmente per la rivalutazione della liquidazione dei loro dipendenti. Se il provvedimento come più volte annunciato dal ministro Maroni sarà approvato dal Consiglio dei ministri entro il 6 ottobre (è previsto il 30 settembre), le nuove regole entreranno in vigore dal 1 gennaio 2006. I lavoratori avranno sei mesi per decidere se lasciare il Tfr in azienda o a quale fondo complementare destinarlo. Se il dipendente non si esprimerà, grazie alla regola del silenzio assenso il Tfr sarà conferito ai fondi chiusi. La «torta» del Tfr maturando vale circa 13 miliardi di euro annui.