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di LAURA DELLA PASQUA «I DIPENDENTI pubblici sono troppi e ben pagati, quindi non sta ...

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Il governo pertanto deve rimanere fermo sulla tesi di un incremento salariale del 3,7% non un euro in più e mettere in piedi un discorso sulla mobilità, sulle qualifiche e sulla valorizzazione della produttività. Se c'è poi un settore protetto dalla congiuntura negativa è quello dei dipendenti degli enti locali». Non è ancora stata fissata una data per la ripresa della trattativa sul rinnovo del contratto del pubblico impiego (se ne parlerà a metà della prossima settimana) ma il consigliere economico del presidente del Consiglio, Renato Brunetta, mette subito le cose in chiaro e traccia la linea che il governo dovrebbe seguire. Lei dice che i dipendenti pubblici sono troppi e ben pagati ma sindacati non la pensano così se hanno chiesto un aumenti dell'8% per il nuovo contratto e criticano i tagli agli organici. «Il contratto si potrebbe rinnovare subito senza stare tanto a discutere. Basta fare i conti di come è andato biennio-quadriennio precedente, vedere di quanto si è discostato l'andamento dei salari rispetto all'inflazione programmata e effettiva e sulla base di questo da un lato calcolare l'eventuale recupero e dall'altro fare i conti rispetto al biennio futuro. I numeri dicono che le dinamiche effettive dei salari nel settore pubblico sono andate dai 2 ai 4 punti al di sopra dell'inflazione effettiva. Il che vuol dire che i dipendenti pubblici hanno aumentato il loro potere d'acquisto. Se si dovessero applicare gli accordi di luglio i sindacati non dovrebbero chiedere nulla in più; piuttosto i lavoratori dovrebbero restituire quanto hanno preso in più rispetto all'inflazione effettiva. Ovviamente tutto questo non si può fare e quindi i sindacati dovrebbero quanto meno prendere atto del buon andamento delle dinamiche salariali del pubblico impiego e in base all'inflazione programmata definire le risorse disponibili che poi sono quelle messe in Finanziaria. Ovvero un aumento del 3,7%. Non dimentichiamo che ogni punto di incremento salariale vale un miliardo e mezzo di euro. Quindi in Finanziaria ci sono già oltre 5 miliardi di euro. Una cifra ragguardevole che include l'inflazione programmata a cui è stato aggiunto un incremento dello 0,4%». Eppure i sindacati sostengono che l'inflazione reale ha decurtato le buste paga degli statali. Come la mettiamo? «Le retribuzioni degli statali sono quelle che meglio si sono difese dall'inflazione. Quindi non ha senso la richiesta sindacale di un recupero dell'inflazione. Inoltre gli statali non subiscono la cassa integrazione, non rischiano di perdere il posto e in questi anni difficili hanno guadagnato di più del settore privato. Nel biennio-quadriennio precedente le dinamiche salariali degli statali hanno mostrato una capacità di autoincrementarsi a causa del miglioramento strutturale dei livelli. Sicchè è verosimile che se si parte da un aumento del 3,7%, stiamo certi che alla fine del periodo, gli stipendi degli statali saranno più pesanti di oltre il 5% come è avvenuto nel biennio precedente». In base a quello che lei dice sembrerebbe quasi che gli statali anzichè chiedere aumenti dovrebbero quasi restituire dei soldi, o no? «È un dato confermato anche dalla Banca d'Italia e dalla Ragioneria Generale dello Stato. Gli stipendi del pubblico impiego sono cresciuti più dell'inflazione effettiva. Sfruttando la normativa sono tentato di dire che sarebbe logico prolungare la vigenza contrattuale di un anno per assorbire gli sfondamenti che si sono già realizzati. Ma nessuno è così cattivo, però dico ai sindacati: siamo seri, l'aumento dell'8% è ingiustificato. Voglio aggiungere poi una cosa. Ci sono dipendenti che sono ancora più protetti». Si torna sulla vecchia questione dei privilegi? «Mi riferisco ai dipendenti degli enti locali; sono quelli che sono stati più protetti rispetto agli altri statali, in una situazione di congiuntura economica negativa». Lei sostiene anche che gli statali sono troppi. Anche qui i conti non tornano se i sindacati i

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