Cina libera di esportare, l'Italia fa muro
Per il Businessweek la concorrenza asiatica mette a rischio milioni di posti di lavoro in tutto il mondo
La fine dell'accordo Multifibre, scaduto il 31 dicembre 2004, che stabiliva quote alle importazioni nell'Unione Europea di prodotti tessili e calzaturieri provenienti dalla Cina, è solo uno spartiacque burocratico, l'apertura di un portone già da tempo forzato. La valanga cinese che ora può riversarsi in Europa in realtà non ha dovuto aspettare la scadenza dell'accordo Multifibre per invadere il mercato europeo. Da anni è in atto una pericolosa penetrazione di prodotti cinesi che ricalcano il gusto europeo e combattono la guerra della concorrenza con costi sempre più bassi. Un piano questo, su cui difficilmente possono competere le industrie europee. E a fare le spese dell'aggressiva concorrenza cinese sono soprattutto le imprese italiane che hanno nel tessile e nelle calzature due settori d'eccellenza. Tant'è che il viceministro del Commercio Estero Adolfo Urso ha ricordato che l'Italia è pronta a difendersi e per questo è stato creato un sistema di monitoraggio dei flussi di prodotti provenienti dalla Cina. I dati a disposizione di Euratex, l'associazione europea del tessile-abbigliamento, parlano chiaro: «Oggi circa il 40% del totale deficit europeo del settore tessile dipende proprio dalla Cina. E quest'anno le previsione parlano addirittura del superamento della soglia del 50%». Pechino rappresenta il «maggior fornitore dell'Ue» sia per i tessili (con un valore nel 2003 pari a 2,2 miliardi di euro) sia per l'abbigliamento (10,8 miliardi di euro). Nell'Ue l'import dei prodotti cinesi è cresciuto, nel 2003, del 6% mentre i dati per i prodotti provenienti dal resto del mondo rivelano un calo al 6,5%. Per il ministero delle Attività Produttive, nel 2001 la quota di mercato Ue della Cina era del 15% passata al 74% nel primo semestre 2004. Contestualmente all'aumento delle esportazioni c'è stato un calo dei prezzi al pezzo passati da 18,28 euro nel 2001 a 6,82 euro nel 2004. Da quando nel settembre del 2001 la Cina ha aderito all'Organizzazione Mondiale del Commercio, si è preparata all'apertura delle frontiere con grande determinazione. Tutto il settore tessile, in vista della fine dell'Accordo Multifibre, si è preparato a esportare: infrastrutture modernissime, distretti organizzati e il tutto ad un costo del lavoro irrisorio. Un operaio tessile cinese guadagna 0,4 dollari l'ora, uno del Bangladesh 0,3, un indiano 0,6, un messicano 2,6, un europeo 14,8. I tessili cinesi sono la bellezza di 180 milioni. Nelle 29 categorie di abbigliamento per le quali gli Usa hanno rimosso le quote nel 2002, le quote di mercato cinese sono cresciute del 1009% in 30 mesi. Nello stesso arco di tempo i concorrenti hanno subito perdite oscillanti fra il 90% e il 28%, soprattutto il Bangladesh, la Thailandia, il Messico, le Filippine e il Pakistan. Per la prima volta le cifre mostrano anche un calo anche delle quote indiane, che avevano retto fino all'anno scorso. Secondo il Businessweek l'invasione di prodotti cinesi potrebbe avere ripercussioni sull'occupazione. Sarebbero in pericolo secondo il settimanale americano, su scala mondiale 30 milioni di posti di lavoro del settore (650.000 negli USA, oltre 800 mila in Italia). L.D.P.