L'ombra di Putin dietro lo spezzatino Yukos
E senza scomodare l'amico italiano, Silvio Berlusconi. Ieri infatti l'asset più pregiato del colosso petrolifero russo, finito nelle mani di un gruppo di imprenditori ostili al Cremlino, è stato ceduto all'asta a una società del tutto sconosciuta, Baikalfinansgroup, che ha battuto il gigante Gazprom scucendo 260,753 miliardi di rubli, cioè 9,34 miliardi di dollari. Comincia così lo spezzatino di uno dei più grandi produttori di gas e petrolio del mondo, uscito dalla zona d'influenza del governo di Mosca dopo le privatizzazioni selvagge avviate da Boris Eltsin. Una cessione che ha arricchito enormemente i nuovi padroni, con in testa Mikhail Khodorkovsky, attualmente in carcere con l'accusa di evasione fiscale. La Yukos, secondo le autorità di Mosca, avrebbe accumulato debiti verso l'erario per 27 miliardi di dollari. Debiti in parte disconosciuti dai manager dell'azienda petrolifera, che hanno indicato in Putin il regista del crollo della società. Ma il braccio di ferro con l'azienda petrolifera, che ha in pancia le concessioni per estrarre greggio e gas in alcune tra le regioni più ricche della federazione russa, non è stato facile neppure per il governo di Mosca. Le dimensioni dell'azienda rendevano difficile la cessione sul mercato, soprattutto in considerazione della diffidenza dei principali gruppi petroliferi del mondo, contrari a investire ingenti risorse in un'operazione molto rischiosa sotto il profilo finanziario, anche per le esposizioni verso il fisco. Di qui le pressioni di Putin su Berlusconi, per far entrare in gioco l'Eni, che peraltro ha già importanti interessi in Russia. Il dossier Yukos però non è piaciuto al numero uno dell'azienda energetica italiana, Vittorio Mincato, che ha pereferito dire di no a Berlusconi piuttosto che imbarcarsi in un'avventura piena di insidie. Con la gara di ieri il gruppo finanziario di Baikal si è assicurato la principale unità produttiva della Yukos, la Yuganskneftegaz, capace di produrre 11,63 miliardi di barili di greggio, il 17% delle riserve russe. Ma chi c'è dietro il nuovo acquirente? Ad oggi, l'unica cosa che si conosce del gruppo Baikal è che è stato registrato da poco a Tver, nel nord ovest della Russia. Del tutto ignota l'origine dei fondi necessari all'operazione. Netto il risultato dell'asta, durata appena dieci minuti. I rappresentanti della Baikal, un uomo e una donna, hanno fatto subito salire il prezzo base di 500 milioni di dollari. A questo punto quelli di Gazprom hanno chiesto di poter fare una telefonata e una volta chiusa la comunicazione sono rimasti zitti. Subito dopo i tre colpi di martello del banditore hanno sancito la vittoria della Baikal. Il sospetto diffuso è che la Baikal sia una società di facciata che agisca per conto del Cremlino, che sta cercando di riprendere il controllo delle risorse energetiche del Paese. «O è lo Stato o è una società vicina allo Stato», ha affermato Chris Weafer, analista della banca Alfa. Che ha fatto tre ipotesi su Baikal: «o si tratta di una società di facciata usata da Gazprom per proteggersi dalle conseguenze del contenzioso giudiziario negli Stati Uniti», o agisce per conto della compagnia petrolifera Surgutneftegaz, considerata vicina al Cremlino, oppure «è una combinazione degli interessi dello Stato, di Gazprom e di Surgutneftegaz». Intanto però sia Gazprom che Surgutneftegaz hanno smentito all'agenzia Interfax di avere rapporti con Baikal. Da parte sua, il portavoce della Yukos Alexandre Chadrine ha subito definito «illegale» la vendita sia per il diritto russo che per quello internazionale, ricordando che ancora sabato scorso il tribunale fallimentare di Houston, al quale la compagnia aveva chiesto protezione, aveva interdetto almeno per il momento l'asta. «Pensiamo che il vincitore dell'asta di oggi abbia speso 9 miliardi di dollari per comperarsi un grosso mal di testa», ha aggiunto Chadrine, affermando che il contenzioso legale sarà portato avanti ovunque possibile.