Parmalat, tra i creditori spuntano veline e bar
Basta infatti scorrere gli elenchi per accorgersi che i colossi stranieri, e italiani, ci sono tutti, anche se in alcuni casi le cifre sono state ridotte rispetto alle domande di insinuazione al passivo. Nell'elenco dei creditori relativo a Parmalat Spa, oltre a tutti i bond, risultano infatti Bank of America (creditore chirografo per 122.540.184,41 euro), Citibank (81,3 milioni di euro chirografi e 9.418,70 euro di prededuzione), Ubs (35,3 milioni di euro). Risulta invece esclusa dall'elenco di Parmalat Spa, Bank of America Securities Limited. Cifre robuste anche per i crediti ammessi degli istituti italiani: 287,36 milioni euro per il gruppo Capitalia, 251,17 milioni quelli a favore del gruppo San Paolo. Seguono: Banca Intesa (154,38 milioni di euro), Monte Paschi (63,4 milioni), Bpl (79 milioni), Bnl (30,52 milioni) e Unicredit (108,99 milioni). Il Gruppo Capitalia vanta invece 66.326.358,68 euro nella lista dei creditori di Eurolat: proprio l'allora Banca di Roma fu infatti protagonista del passaggio di Eurolat dal Gruppo Cirio a quello di Calisto Tanzi. Nelle liste dei creditori sono spuntati anche Elisabetta Canalis che vanta un credito privilegiato di 440,03 euro, e chirografo di 101,60), 129 bar e latterie che vantano conti che Eurolat non ha mai pagato e debiti (di Parmalat Spa) con le agenzie di stampa Ansa e Reuters. Non vedrà invece un euro «il signor Tonna Fausto», che pure aveva chiesto circa 5,62 milioni di euro all'azienda ma che, secondo i magistrati, contribuì non poco ad affondarla come direttore finanziario. «Non è dovuto il compenso quale membro del cda di Parmalat Spa perchè l'attività non è stata adempiuta secondo canoni di diligenza», ha tagliato corto il giudice delegato. Sarebbe stato l'ennesimo colpo di finanza creativa. Il Nucleo regionale della polizia tributaria dell'Emilia-Romagna ha appurato che dieci anni di bilanci contraffatti hanno fatto pagare approssimativamente alla Parmalat tasse per 140-150 milioni di euro. Tasse che il gruppo di Collecchio non avrebbe dovuto pagare al fisco se avesse dichiarato in quali condizioni erano veramente le sue casse. È l'effetto, paradossale, prodotto dai 2,5 miliardi di euro di elementi positivi di reddito fittizi registrati in un decennio (1993-2003) per coprire le perdite effettive. L'ispezione della documentazione contabile sequestrata nella sede della Parmalat ha fatto infatti emergere che il patrimonio netto della società era negativo sin dai tempi della quotazione in borsa della Parmalat Finanziaria Spa. In particolare, alla fine del 1992, a fronte di un patrimonio netto dichiarato di circa 900 milioni, è stato accertato un patrimonio reale negativo di 1,4 miliardi.