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di FOSCA BINCHER L'ULTIMA novità viene dall'Argentina.

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Un investimento legato ad interessi in quella terra, ma che in questo momento può essere decisivo nella battaglia fra patti di sindacato che si sta compiendo per il controllo della banca romana presieduta da Luigi Abete. In attesa delle comunicazioni ufficiali alla Consob sia sui nuovi ingressi nel capitale, sia sulle dimensioni reali del contropatto di sindacato raccolto intorno a Francesco Gaetano Caltagirone, tutti i fari sono puntati su via Nazionale. Entro Natale spetta infatti agli uomini di Antonio Fazio compiere il passo che potrebbe rivelarsi decisivo non solo sul controllo dell'istituto di credito di via Veneto. Essendo chiara la natura industriale dell'alleanza costruita da Caltagirone (il perno verte su altri tre immobiliaristi: Giuseppe Statuto, Danilo Coppola e Stefano Ricucci), alla Banca d'Italia spetta ora un'interpretazione chiara della norma antitrust che vieta i matrimoni fra banche e imprese. Interpretazione che potrebbe arrivare con uno stop evidente al contropatto o, al contrario, attraverso un silenzio-assenso che darebbe il via libera al nuovo controllo. La legge infatti stabilisce che nessun socio industriale può superare il 15 per cento del capitale di un istituto di credito. È possibile invece farlo attraverso l'adesione a patti di sindacato, ed è così che molte industrie italiane sono diventate azioniste di riferimento di grandi gruppi bancari (da Capitalia al San Paolo di Torino, per fare due esempi lampanti). I patti di sindacato in quei casi però hanno natura eterogenea, e cioè oltre alle imprese ci sono partner finanziari o assicurativi che condividono il controllo della banca. Nel caso di Caltagirone & c è evidente la natura industriale della cordata, composta di imprese addirittura tutte appartenenti allo stesso settore, l'immobiliare (per altro lo stesso del gruppo che controlla Il Tempo). Finora la Banca d'Italia non si è pronunciata, anche perché i soci del contropatto avevano sempre dichiarato la loro operazione di carattere esclusivamente finanziario. Con le nuove forze in campo, che raccolgono intorno ad Abete il 28,4% del capitale (Bbva, Generali e Della Valle) e intorno a Caltagirone il 24,3% (Caltagirone, Statuto, Coppola, Ricucci, Bonsignore, Lonati e Grazioli), la battaglia per il controllo della banca è ormai evidente. Basterebbe che Montepaschi (4,6%), Pop Vicenza (3,5%) o Gnutti (2%) scegliessero una parte o l'altra per spostare l'ago della bilancia. Se Banca d'Italia dicesse sì al contropatto, un piccolo terremoto potrebbe coinvolgere tutti gli assetti di controllo delle banche italiane.

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