Parmalat, il caso è chiuso
Proprio alla vigilia delle Considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia il caso che ha terremotato negli ultimi sei mesi banche, imprese, mercati, politica, gruppi di potere, amicizie e lo stesso Antonio Fazio è ufficialmente riassorbito. La risposta al crac Parmalat che la politica in 180 giorni di fuoco non è riuscita nemmeno ad abbozzare, è arrivata dagli stessi mercati finanziari. Da Piazza Affari. Quando venerdì 28 maggio l'ultima campanella è suonata chiudendo le contrattazioni settimanali la capitalizzazione della Borsa italiana si è fermata a 503 miliardi e 892 milioni di euro. Il 30 dicembre 2003, quando Calisto Tanzi si era da poco consegnato ai magistrati di Milano e il governo aveva appena varato il decreto Marzano per tamponare il dissesto della Parmalat, il valore di tutte le azioni quotate in Italia era di 488 miliardi e 30 milioni di euro. Il buco Parmalat, secondo le ricostruzioni più pessimiste, ammontava a 14 miliardi di euro, polverizzatisi fra le mani dei risparmiatori. In questi sei mesi l'indice Mibtel ha restituito in mano ai suoi investitori 15 miliardi e 862 milioni di euro. In termini percentuali significa un aumento del 3,25%. Nello stesso periodo il Dow Jones americano ha invece perso il 2,31%. La fotografia non lascia dubbi: nonostante il brivido percorso il mercato è riuscito a parare il colpo. In qualche modo a farsi giustizia da sè. E meno male che la Borsa ha anticorpi così potenti, perché se avessimo dovuto attendere la politica, altri risparmi si sarebbero nel frattempo sgregolati fra le mani degli investitori. A sei mesi da quella che era sembrata una crisi epocale, che ha provocato lacerazioni enormi anche dentro il Governo, che aveva evocato addirittura provvedimenti da legge marziale e relativo coprifuoco, non un passo è stato fatto. Non un usciere è stato assunto in quella SuperConsob che mai ha visto i natali. Non un comma legislativo è stato modificato. Per capire il tracollo della politica cui hanno supplito i mercati basta leggere il resoconto sommario dell'ultima riunione delle commissioni riunite Finanze e Attività produttive della Camera dei deputati, mercoledì 26 maggio. Lì da settimane ci si confronta sul testo unificato delle proposte di legge «Interventi per la tutela del risparmio». Lì dopo mesi nemmeno un articolo è stato ancora sottoposto al voto di commissione. Lì Bruno Tabacci, che ne guida i lavori, mercoledì scorso ha concluso proponendo che «il termine per la presentazione di subemendamenti agli emendamenti dei relatori riferiti agli articoli da 1 a 14 sia fissato per le ore 12 di martedì 15 giugno 2004». Per chi non segue i lavori parlamentari, questo significa che finora sono stati presentati emendamenti alla prima parte del testo di legge. Nessuno è stato votato. E dopo il 15 giugno, senza ancora voto, si dovranno illustrare per giorni i subemendamenti agli emendamenti. Quando anche quella legge venisse poi approvata dalle commissioni (e sembra impossibile possa avvenire con questo ritmo prima della pausa estiva), dovrà ricevere il gradimento dell'aula della Camera. Fatto quello, passerà al Senato. Dove inizierà lo stesso identico iter. Possibile che diventi legge entro un anno dall'esplosione del crac Parmalat? No, impossibile. E quando anche fosse, l'impianto della legge è zeppo di norme delegate che dicono: «entro 12 mesi dalla approvazione della presente legge, il ministero dell'Economia è delegato ad emanare uno o più decreti...». Di anni ce ne vorranno due. Un tempo infinito per i mercati, che infatti hanno già provveduto da sè. Così lo spettro che oggi avrebbe potuto circolare fra le cartelle del discorso di Fazio si è già dissolto. E quello stesso discorso avrà altre preoccupazioni, limate giusto nel corso della notte: quelle per il futuro della Fiat, ieri scosso dall'ennesimo terremoto.