I quattro anni di D'Amato: scontri e sogni nel cassetto
18; dalla delusione sul fronte del fisco a quella per la riforma delle pensioni: corre lungo questi binari il quadriennio in Confindustria di Antonio D'Amato, che passerà il testimone mercoledì prossimo a Luca Cordero di Montezemolo. Secondo più giovane leader nella storia quasi secolare di Confindustria, e anche primo proveniente dal Sud Italia, D'Amato ha nel bene e nel male marcato una frattura nei suoi quattro anni a Viale dell'Astronomia. Ha firmato nel luglio 2002 con governo, Cisl e Uil (ma senza la Cgil) il Patto per l'Italia; ha siglato - un anno più tardi - l'accordo sulla competitività, questa volta con tutti i sindacati; ha incassato la riforma del mercato del lavoro, eppure Antonio D'Amato, per i critici, sarà ricordato come l'industriale che ha rotto gli equilibri sociali, che ha riportato indietro di anni i rapporti con il sindacato, sfasciato la macchina-Confindustria. E anche su pensioni, lavoro nero e fisco, dopo quattro anni di governo, il bicchiere di D'Amato resta vuoto. D'Amato rivendica comunque il merito di aver riacceso il dibattito interno in Confindustria: «Ogni decisione è sempre stata presa con l'avallo o meno di tutti - ama ripetere il presidente uscente - ma sempre dopo un confronto aperto e democratico». Dopo quattro anni il suo parterre elettorale si è sfaldato: i big dell'industria non gli hanno perdonato di aver acceso la miccia dello scontro sociale e anche più di un piccolo imprenditore gli ha voltato le spalle. Quattro anni dopo il Grande Exploit, Antonio D'Amato conta sulle dita di una mano gli alleati fedelissimi e oggi si accinge a uscire di scena senza lasciare grandi rimpianti dietro di sè. La parabola di Antonio D'Amato paradossalmente inizia a marzo 2001, quando a Parma, in piena campagna elettorale, gli industriali scelgono l'abbraccio berlusconiano. «Il vostro programma è il mio programma», disse il candidato premier alla platea. Quella frase accompagnerà D'Amato per tutto il quadriennio, anni che avranno nello stallo economico, nella crisi industriale e nel declino della politica concertativa i suoi punti nevralgici. Così, anche il collateralismo con il governo si è andato via via trasformando in un'azione politica senza ritorno. È la richiesta di Confindustria di intervenire sull'art.18 a rompere quell'equilibrio: non solo con il governo che piano piano prende le distanze, ma anche all'interno di Confindustria. I grandi imprenditori sono i primi a defilarsi, più attenti alle ristrutturazioni in corso (Fiat in testa) che agli scontri di piazza. D'Amato resta solo e la battaglia sui licenziamenti si risolve in una vera e propria debacle che fa dire a più di un imprenditore che «Confindustria ha perso solo tempo quando invece si poteva mettere mano a riforme ben più importanti».