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Mediobanca, Capitalia frena il rimpasto tra soci

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In particolare, nessuno spiraglio di novità si è aperto sul collocamento in altre mani delle quote che, secondo i teorici impegni assunti un anno fa (esattamente all'epoca della defenestrazione dell'ex amministratore delegato Vincenzo Maranghi) Capitalia e Unicredito dovrebbero vendere: nell'insieme un 6 per cento del capitale. La tanto ventilata "cordata" di banche popolari che avrebbe dovuto unire le forze per rilevare questo pacchetto (che agli attuali prezzi di Borsa sfiora i 300 milioni di euro di valore) sembra essere evaporata prima ancora di costituirsi. E la ragione è semplice: mentre l'intento di Unicredito è sincero, e la disponibilità a procedere è immediata, non altrettanto si può dire per Capitalia. Il presidente dell'istituto romano Cesare Geronzi, assediato in queste settimane dalle grane giudiziarie del caso Parmalat, non vede di buon occhio infatti - meno che mai in una fase così convulsa - l'indebolirsi di un presidio storico del "potere economico" di Capitalia, cioè appunto la partecipazione nell'istituto di piazzetta Cuccia. E rinvia sine die i sondaggi in tal senso. Nessuna decisione è stata quindi presa, come ha affermato al termine dei lavori lo stesso presidente del patto, Piergaetano Marchetti, ed è stato fatto solo un «esame della situazione» relativa al destino delle due holding. I soci del patto di sindacato di Mediobanca si rivedranno entro maggio per riparlare del problema: e da oggi ad allora molte cose potranno essere cambiate, o nessuna. Tutto dipenderà dall'evolversi delle vicende interne del socio romano.

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