Capitalia è tornata all'utile: +31 milioni
Capitalia torna a sorridere con un risultato netto di 31 milioni, da contrapporre alla perdita di 328 milioni del 2002, e propone la distribuzione di un dividendo di 0,02 euro. Ma tutto questo avviene dopo aver usato una scopa e un aspirapolvere fra i più potenti per far pulizia fra i conti della banca, e realizzando rettifiche nette e accantonamenti per 1.562 milioni di euro, dei quali ben 285 milioni riconducibili al crac Parmalat. Nel 2002 le rettifiche erano state di 2.330 milioni. Le sofferenze nette, escludendo la quota Parmalat, per la quale si è accantonato il 70 per cento dei crediti non coperti da garanzia, sono scese del 4,7 per cento e i crediti dubbi del 5,4. Per questo il grado di copertura delle prime è salito al 55,3 per cento mente quella dei crediti dubbi è aumentata di due punti passando al 48,5 per cento. Fra le esposizioni non potevano mancare quelle riferite al calcio: 19,6 milioni da parte della Lazio, e 6,1 con la Roma. «Sembra - ha detto Matto Arpe - che la nostra banca sia la più esposta con il mondo del calcio. Ma in tutto i nostri crediti sono di solo 53,5 milioni, contro un sistema esposto per 457,9 milioni». Un anno d'oro, quindi per Capitalia, che vede il suo massimo esponente, Geronzi, al centro di un vortice di inchieste, indagini, e una Borsa che premia il ritorno al dividendo. Senza le rettifiche, dovute e necessarie per dare oltre che chiarezza al mercato, per prepararsi a quel Basilea 2 tanto temuto con i numeri necessari a posto, senza i crac Parmalat e Cirio, l'incombere di azioni di responsabilità da parte dei sottoscrittori di bond, quei 31 milioni mostrati consoddisfazione da Arpe sarebbero stati molti di più. Ma tant'è. Perché l'a.d. di Capitalia non è il primo e non è il solo a dover affrontare in sede di annuncio dei risultati di bilancio, una denuncia di accantonamenti, rettifiche o perdite. Prima di lui, l'8 marzo era stata la volta di Banca Intesa la quale, pur avendo centrato gli obbiettivi del piano triennale, e chiudendo il 2003 con un utile netto di 1.214 milioni, ha dovuto far ricorso a rettifiche e accantonamenti di 1,6 miliardi, fra i quali vanno annoverati , 288 milioni derivanti da Parmalat. Con molto minori accantonamenti, solo 230 milioni, malgrado debiti dubbi netti di 4,7 miliardi, chiude Unicredito, con un utile consolidato di 1.961 milioni in crescita dell'8,9 per cento. Il Sanpaolo Imi, dopo aver annunciato un utile di 969 milioni, ha accantonato 273 milioni per Parmalat e 10 milioni per Cirio, portando così a rettifiche nette e accantonamenti 727 milioni, il 23,2 per cento in più rispetto all'anno precedente. Non è andata meglio alla Bpu, con 534 milioni di rettifiche di cui 87 dovute a Parmalat, dopo aver dichiarato un utile netto di 200 milioni, ma ancora peggio alla Popolare di Lodi, che ha visto decuratto l'utile del 5,9 per cento, e ha dovuto accantonare 256,7 milioni di cui 122 ascrivibili all'amico Tanzi. Molto meno roseo, che dico, di color grigio scuro, pochi giorni addietro, il 24 marzo, era stato il turno di Antonveneta, che invece di un utile anche piccolo, ha chiuso un 2003 con una maxiperdita di 842,6 milioni di euro, a fronte di un utile di 216,2 milioni del 2002. Il vertice della banca padovana ha dovuto accantonare e fare rettifiche per 1,984 milioni, contro i 728 dell'esercizio precedente. Nel comunicato del cda, che passa in rassegna i «perché» dei vari accantonamenti, si legge che «concorrono 199 milioni di svalutazione delle junior notes delle cartolarizzazioni di crediti in sofferenza effettuate nei passati esercizi». Un modo per trasferire una perdita ad esercizi futuri, facendo figurare un incasso al momento della cartolarizzazione. Sistema che viene usato spesso dalle banche: cedono a una entità terza i crediti dubbi o inesigibili, contro pagamento con titoli della stessa ricevente, da piazzare