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Grandi industrie coi piedi d'argilla

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Il quadro con poche luci e molte ombre è quello dell'annuale studio di R&S di Mediobanca sulle multinazionali riferito al 2002. Quello che merge è la debolezza finanziaria dei gruppi italiani ancora strettamente dipendenti dai prestiti bancari e con scarsa propensione agli investimenti in ricerca e sviluppo e marginale presenza nel settore dell'alta tecnologia. Il finanziamento bancario costituisce il 30% del totale nel 2002 contro una media europea del 13,3% e del 3% del Nord America. Limitato è il ricorso al mercato con i prestiti obbligazionari (il 16,8% del totale contro il 24,8% dell'Europa e il 35,2% del Nord America. Investimenti al lumicino, solo il 2,5% del fatturato mentre a livello Ue le imprese spendono il 3,8%. Le grandi imprese italiane hanno visto scendere il rapporto tra capitale e debiti finanziari a livelli inferiori a quelli di 10 anni fa. A fronte di 100 euro di debiti vi erano 54,5 euro di patrimonio contro una media europea di 76,7 e di 80,2 del Nord America. Nonostante questo scenario e nonostante la grave crisi la Fiat resta tra le 12 maggiori imprese multinazionali al mondo con 87,1 miliardi di attivo. In testa vi è la DaimlerChrysler con 182 miliardi seguita dalla Toyota con 162 miliardi. Dietro a Fiat si colloca Eni e poi a larga distanza Edison, Finmeccanica, Parmalat e Pirelli. Il peso dei gruppi italiani sull'economia nazionale è comunque molto scarso. Il loro fatturato rappresenta il 13% del pil contro il 17,8% del Nord America. Quanto alla globalizzazione l'Italia è rimasta indietro nella quota di vendite realizzate all'estero cresciute solo del 5,2% di cui solo il 27% è formato da vendite al di fuori dell'Europa. L.D.P.

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