L'inflazione a gennaio cala al 2,2%
Ma le polemiche sulle rilevazioni non accennano a placarsi e i consumatori tornano ad attaccare i dati diffusi dall'istituto di statistica, ritenuti irrealistici, quasi - dicono i consumatori - «uno scherzo di Carnevale». I tecnici Istat dipingono a gennaio un «quadro disinflazionistico» con i prezzi al consumo saliti solo del 2,2% a fronte del 2,5% di dicembre. Pur constatando una progressiva riduzione delle pressioni inflazionistiche, l'istituto mette in evidenza come persistenti tensioni continuino a registrarsi sul fronte degli alimentari e dei servizi bancari. Su base tendenziale, infatti, ortaggi e frutta freschi in gennaio hanno subito aumenti dal 9,2 ed il 10,5%. «Tensioni si registrano - sottolineano i tecnici - anche sui servizi bancari: +6,9% tendenziale». Prezzi in calo, invece, nel comparto energetico e nel trasporto aereo, che rispetto a gennaio 2002 sono scesi rispettivamente dello 0,3 e del 2,1%. «Da maggio 2003 si registra una diminuzione dei prezzi all'import e questo, in parte, spiega il calo delle pressioni inflazionistiche: la Cina sta esportando in Italia con prezzi in picchiata» spiega l'istituto, ribadendo che il rallentamento di gennaio è imputabile «alla decelerazione della dinamica dei prezzi dei servizi e del venir meno delle spinte al rialzo dei prezzi di alcuni gruppi di beni, in primo luogo quelli del comparto energetico». Su base congiunturale i prezzi sono aumentati dello 0,2%, con un picco del +0,6% per Reggio Calabria, città che in gennaio conquista la leadership in fatto di rincari. Ma la città calabrese, in termini di aumenti tendenziali, anche questi al top, è in buona compagnia: Reggio Calabria, Napoli e Torino sono infatti i capoluoghi che lo scorso mese hanno registrato gli incrementi tendenziali più consistenti, tutte e tre +2,8%, ben al di sopra quindi della media anzionale. Ma i dati Istat non convincono. Per Pezzotta bisognerebbe interrogarsi sul perché della flessione. Scettico anche l'Ugl. Più dure le critiche dei consumatori. Per il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, i dati sono «poco credibile».