Urso: il supereuro penalizza l'export del made in Italy
Il vice ministro alle Attività produttive con delega al Commercio estero, Adolfo Urso, sta per girare la boa della centesima missione internazionale. Entro marzo volerà in Bulgaria, Siria, a Washington, in Giordania, Egitto, Cina. Un grosso impegno fisico, ripagato con risultati importanti. Dalla missione in Croazia torna a casa con un consistente bagaglio di successi, come la creazione di quattro aree industriali in cui dar luogo a joint-venture italo-croate nei settori del legno-arredo, del tessile-abbigliamento, metalmeccanico e calzaturiero. Ma c'è di più. L'apertura e la totale disponibilità a collaborare, dimostrata dai membri del nuovo governo (compreso il premier Ivo Sanader), fanno sperare che siano superati gli ostacoli ancora esistenti in alcuni settori, come il turismo. La Croazia, dove operano già 4.600 imprese tricolori, sembra quindi avviarsi a diventare la piattaforma ideale verso tutta l'area dei Balcani. Anche se i successi non mancano, a Zagabria come altrove, ci sono fattori che non favoriscono affatto il «made in Italy». Quanto pesa il supereuro sulla capacità dell'Italia di reggere i mercati internazionali? «Pesa molto per l'intera Europa, come dimostrano anche le dichiarazioni allarmate dei governi Ue. Per l'Italia pesa ancora di più sia perché dipendiamo molto dall'export, sia perché il nostro sistema imprenditoriale era meno attrezzato di altri ad avere una moneta forte, avendo a lungo prosperato grazie alla debolezza della lira». Al G7 in Florida è stata affrontata la questione del dollaro debole, che minaccia la crescita mondiale. Ma le decisioni prese non sembrano affatto risolutive. «Evidentemente i mercati internazionali si aspettavano ben altro, un intervento effettivo di coloro che individuano la politica comunitaria, per l'Europa vale a dire la BCE. Non bastano le comunicazioni. Sono necessarie le decisioni, a cominciare da quelle sul tasso di interesse. Se l'euro dovesse giungere davvero all'1,30, si metterebbe fortemente a rischio la competitività dell'intero sistema industriale europeo». Su quali fattori deve puntare l'Italia in campo economico per essere sempre più forte all'estero? «Deve innanzitutto recuperare alcuni handicap strutturali, investire di più in ricerca e innovazione, realizzare grandi opere infrastrutturali, puntare sulla qualità. Il nostro sistema industriale è ancora troppo simile, nei settori produttivi, a quello dei Paesi in via di sviluppo. Dobbiamo concentrarci con determinazione sull'alta tecnologia».