Licenziamenti, regole per tutti
Il cosiddetto terzo settore e in tutto il mondo del no profit. Tutti datori di lavoro privati, cioè, ma non imprenditori, dovranno rispettare gli obblighi già applicate alle imprese, dall'informazione e consultazione dei lavoratori alla notifica alle autorità pubbliche, all'iscrizione nelle liste di mobilità. Lo prevede un decreto legislativo emanato dal governo in attuazione di una delega contenuta nella legge comunitaria per il 2002. Un testo che, però, rischia di scontentare le associazioni della galassia del Terzo settore, già sul piede di guerra. Il provvedimento colma una lacuna costata all'Italia una condanna della Corte di giustizia europea. A imporre l'applicazione della disciplina sul licenziamento collettivo a tutti i rapporti di lavoro è stata, infatti, una direttiva europea del 1998, mai recepita nel nostro ordinamento, l'unico a restringere il campo alle imprese con fini di lucro. Una limitazione dettata dalla legge 223 del 1991 sui licenziamenti collettivi, destinata ora a essere in parte modificata. Sul decreto dovranno pronunciarsi le commissioni Lavoro di Camera e Senato, che nei giorni scorsi hanno avviato l'esame. Dopo i pareri, attesi entro i primi di marzo, il testo tornerà in Consiglio dei ministri per il via libera definitivo. A introdurre in Italia il licenziamento collettivo è stata la legge 223 del 1991, che, a sua volta, ha recepito una direttiva europea del 1975. Possono licenziare, dice la norma, le imprese che hanno ridotto, trasformato o cessato l'attività, ma solo se hanno più di 15 dipendenti. I licenziamenti, per essere considerati collettivi, devono essere almeno cinque ed essere effettuati nell'arco di 120 giorni. Una misura alla quale possono ricorrere anche le aziende ammesse alla cassa integrazione straordinaria. La procedura del licenziamento collettivo si apre con la comunicazione scritta ai rappresentanti sindacali, con i quali viene avviata una consultazione. Dopo 45 giorni, si procede alla notifica alla regione o alla provincia competente e si può avviare, per 10 giorni al massimo, una nuova fase negoziale tra le parti.