Gli stipendi crescono ma meno dell'inflazione
Ed è subito polemica: consumatori e sindacati puntano il dito contro l'Istat e le sue rilevazioni che, sostengono, non fotografano la realtà. Per l'Intesa dei consumatori, l'Istituto di statistica «deve smetterla di dare i numeri» dedicandosi alla sua mission cioè la verità statistica. Di tutt'altro tenore il commento di Confindustria che parla di «tenuta» dei salari, sostenendo che «i dati Istat dimostrano che il potere d'acquisto resiste all' inflazione». Dure invece le critiche provenienti dall'area sindacale. «L'Istat pubblica i suoi dati solo per arricchire la propria biblioteca» tuona il segretario confederale della Uil, Adriano Musi. «Sono tanto lontani dalla realtà che sembrano arrivare da Spirit, la sonda in orbita su Marte» aggiunge l'Ugl. «Vanno presi con le pinze perchè l'Istat fa calcoli che non tengono conto della realta» rincara la dose la Cisl. Solo la Cgil risparmia attacchi all'Istituto, pur sottolineando «la secca perdita del potere d'acquisto» delle famiglie. Statisticamente parlando, sottolinea però l'Istat, i dati sulle retribuzioni contrattuali non possono essere paragonati con quelli dell'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività (Nic) con tabacchi, cioè l'indice principale, salito nel 2003 del 2,7%. L'andamento degli stipendi è invece paragonabile con l'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati al netto dei tabacchi, cresciuto del 2,5%. Quindi, il gap fra le due voci, retribuzioni ed inflazione, è per l'Istituto solo di 3 decimi di punto percentuale e non di 5. Un ragionamento quello dell'Istat che, seppur corretto matematicamente, lascia perplessi tutti. «È solo un gioco statistico. L'inflazione è quella percepita dalle persone: come si può considerare un paniere in base al quale una casa incide sul reddito del cittadino solo per il 9%, quando tutti sappiamo che l'incidenza è assai maggiore» critica Musi. Per Confindustria, invece, «il dato Istat dimostra la tenuta dei salari».