Telelavoro, la flessibilità è ora al top
Il 24 ottobre entra in vigore il decreto legislativo 276/2003, che dovrebbe rendere il mercato del lavoro più moderno e flessibile, con nuove forme di contratti allo scopo di centrare un obiettivo ambizioso: far volare il tasso di occupazione al 70% entro il 2010 (oggi siamo al 55%). Giovedì i sindacati sono stati convocati al ministero del Lavoro per cercare di raggiungere accordi confederali sui decreti attuativi della legge Biagi. Ma, affinché la riforma del lavoro sia completa, all'appello manca ancora il tassello che ridisegna il sistema degli incentivi all'occupazione e degli ammortizzatori sociali: il disegno di legge 848 bis, che contiene, tra l'altro, la modifica all'articolo 18. Ma la sua approvazione, auspicata per fine anno, slitterà dopo l'approvazione della Finanziaria, all'inizio del 2004. Un mercato moderno — La riforma Biagi prevede l'introduzione di diverse tipologie contrattuali, dal lavoro a progetto a quello a chiamata, passando per il lavoro ripartito (il cosiddetto job sharing), i contratti di inserimento e lo staff leasing. Sarà più semplice anche il trasferimento di azienda e l'utilizzo del part-time. Tra le novità più rilevanti ci sono il sostanziale «altolà» alle collaborazioni coordinate e continuative che, salvo alcuni casi specifici, dovranno essere trasformate in rapporti di lavoro subordinato o in contratti a progetto, ma anche il superamento dei contratti di formazione, sostituiti dai contratti di inserimento. Novità anche sul fronte del rapporto tra domanda e offerta di lavoro, con la possibilità per le agenzie di lavoro interinale di allargare il campo e di svolgere anche attività di mediazione. Si apre definitivamente al collocamento privato e si fissano regole per le agenzie che opereranno in questo delicato settore. Nelle agenzie di lavoro private si ampliano le possibilità attualmente permesse dalla legge per svolgere attività di intermediazione, consentendola anche alle società per la fornitura di lavoro interinale. La modernizzazione del nostro mercato del lavoro, come spiega Natale Forlani, amministratore delegato di Italia Lavoro, l'agenzia tecnica del ministero del Welfare, sarà completata con «il collegamento tra la scuola e il mondo dell'occupazione, la migliore programmazione dei flussi migratori e un'elevazione dello standard delle politiche attive». Il sogno del telelavoro — Anche se non viene citato nella riforma Biagi, in quanto non si tratta di una vera e propria tipologia contrattuale, il telelavoro rappresenta un modo di lavorare all'avanguardia, che permette di conciliare i tempi della propria vita privata con le esigenze dell'azienda. Purtroppo in questo campo l'Italia è fanalino di coda in Europa. Secondo gli ultimi dati di Eurobarometer, solo il Portogallo, con il suo 2,4% di teleworker sul totale degli occupati, fa peggio del nostro 3,1%. Tornando all'Italia, il 6% di chi telelavora sono colletti bianchi, il 6,2% manager, lo 0,8% tute blu, il 2% lavoratori autonomi, il 2,8% sono uomini e il 4,2% donne. I dati parlando da soli: il telework è sinonimo di lavoro qualificato. Ma c'è un fatto sorprendente: le aziende italiane sembrano restie ad adottarlo, nonostante esistano apposti finanziamenti (in totale 21 milioni di euro all'anno e un milione di euro per ogni singola azienda) previsti dal ministero del Lavoro in base alla legge 53/2000. Come spiega Lea Battistoni, direttore generale del settore Impiego e formazione del ministero del Lavoro, quasi nessuna azienda fa richiesta di questi finanziamenti. Fra le prime aziende che l'hanno impiegato in Italia, ci sono l'Ibm (mille dipendenti telelavorano) e l'AstraZeneca. Un terzo dell'organico di Telecom Italia, a Info12, telelavora da casa.