L'euro si sgonfia, si fa sentire la ripresa Usa
Ieri la moneta unica è scesa sotto 1,09 dollari, con un minimo di seduta a 1,0883, in una giornata caratterizzata da un costante calo che in mattinata l'aveva portata già sotto 1,10. Da fine maggio l'euro ha perso quasi l'8% del suo valore rispetto al dollaro e così chi confidava in un ribasso della benzina o sperava di approfittare di queste vacanze per godersi un pò di shopping lungo le Avenue americane si ritrova oggi a doversi rifare attentamente i conti in tasca. Ma l'euro in calo sarà anche un tonico per le esportazioni, da mesi in difficoltà. L'indebolimento della moneta europea rimescola le carte in tavola e costringe chi ha aspettato fino ad ora per viaggiare negli Stati Uniti o in Sudamerica (cioè nella zona che rientra nell'area monetaria di influenza del dollaro) a stare più attento al portafoglio. Alla maggioranza dei turisti la differenza può apparentemente sfuggire, ma tradotta in cifre quello che sembra essere un cambiamento irrisorio significa invece una generale lievitazione dei prezzi. E così se a maggio per pagare una notte a New York in un albergo da 150 dollari al giorno bastavano 125 euro, oggi per la stessa camera bisogna spendere 10 euro in più, cioè 136 euro. Per una settimana intera la spesa lievita quindi da 875 a 952 euro. E lo stesso vale per esempio per un paio di scarpe da ginnastica all'ultima moda. Un ritrovato della tecnica delle migliori marche made in Usa può costare sugli 80 dollari, cioè 67 euro tre mesi fa e 72 oggi, con la moneta unica scesa sotto la soglia di 1,1. A soffrire del calo dell'euro sono poi anche gli automobilisti. Un euro debole significa infatti pagare di più il petrolio, i cui scambi sul mercato internazionale vengono regolati in dollari. All'aumento del prezzo del greggio, che dopo il lieve calo seguito alla fine della guerra in Iraq ha ripreso a crescere sulle prospettive sempre più lontane di un ritorno a regime delle esportazioni del Paese, si aggiunge quindi la perdita di posizioni della valuta europea che potrebbe spingere le compagnie petrolifere a rivedere a rialzo i loro listini. E le conseguenze dell'apprezzamento del petrolio si vedranno del resto anche sull'inflazione. Le conseguenze non saranno però solo negative. Anzi a beneficiare dell'indebolimento sarà soprattutto il made in Italia, finora penalizzato dal supereuro. «Speriamo che questa tendenza sia confermata. - commenta il viceministro delle Attività produttive con delega al Commercio estero, Adolfo Urso - Soprattutto per le nostre imprese esportatrici, che in questi mesi hanno pagato a caro prezzo il supereuro non solo nei confronti del mercato nordamericano, ma anche nelle altre aree in cui le monete sono direttamente legate al dollaro come la Cina».