Fiat, su Mirafiori i tagli pesanti
Salvo lo stabilimento di Cassino. Verso una sola holding auto-Iveco
Ma questa volta non toccherà gli stabilimenti produttivi del centro-sud, e contrariamente alla prima bozza quello di Cassino resterà indenne dalla scure dell'amministratore delegato Giuseppe Morchio. Saranno invece gli stabilimenti dell'area torinese, Mirafiori in testa a tutti, e gran parte della rete delle filiali estere a subire i costi sociali più pesanti della riorganizzazione aziendale. Il piano Fiat che è stato illustrato a grandi linee agli esponenti del governo prevede innanzitutto una concentrazione della parte industriale con accorciamento delle catene di controllo sui modelli finora seguiti da Marco Tronchetti Provera. Tutta la parte industriale in qualche modo collegata, dall'auto a Iveco alla componentistica verrà riunita in una sola holding che avrà al suo interno solo divisioni operative molto snelle. Per questo una parte degli esuberi riguarderà i dirigenti del gruppo: unendo le strutture, ci sarà un solo direttore commerciale della holding, un solo direttore finanziario, e così via. L'eliminazione delle duplicazioni e delle sovrapposizioni, secondo le prime stime, dovrebbe portare a un taglio di 120 unità fra i dirigenti, ma la cifra potrebbe essere anche cauta: al Lingotto circolano numeri più pesanti, con una riduzione di 200 dirigenti sui 700 attualmente in organico. Per la rete estera l'intervento principale sarà la chiusura della sede indiana e la decisione di razionalizzare decisamente la presenza in Sud America, con interventi anche pesanti su Brasile e Argentina. Il piano di risparmi, una volta portato a regime, dovrebbe consentire al gruppo Fiat un recupero ad efficienza del valore di 1,2 miliardi di euro. Il vero passaggio delicato di Morchio è ancora una volta quello del rapporto con i principali azionisti. Perchè sull'aumento di capitale necessario a sostenere la ristrutturazione con iniezioni di liquidità, c'è più di una divergenza. Paradossalmente il sistema delle banche creditrici preferirebbero una richiesta forte, ritenendo che solo così il piano risulterebbe convinto e credibile per il mercato. Nonostante i colloqui degli ultimi giorni gli americani di Gm non sono disposti a sottoscrivere l'aumento di capitale. E l'inciampo principale resta quello della famiglia Agnelli. Dopo l'ultimo aumento dell'accomandita, Umberto e fratelli hanno in cassa liquidità per 650 milioni di euro. Per mantenere, come vogliono, una partecipazione minima del 30 per cento, non possono sottoscrivere un aumento superiore ai 2 miliardi di euro. Cifra che sarebbe, secondo indiscrezioni circolate nel sistema bancario, circa un terzo del reale fabbisogno finanziario del gruppo a fine 2003 (6 miliardi di euro, ottenibili fra aumento di capitale e riduzione delle spese). Se così fosse gli Agnelli si troverebbero di fronte a un bivio: o accettare la riduzione della quota in Fiat, o trovare le risorse necessarie vendendo altre partecipazioni di Ifil (Rinascente o Exor).