IL DIBATTITO sul federalismo si va facendo negli ultimi tempi sempre più serrato, anche alla luce delle ...
Dalla lettura del documento conclusivo approvato, nell'estate del 1998, dalle Commissioni finanze di Senato e Camera al termine dell'indagine conoscitiva sul federalismo fiscale, però, si può rilevare come fosse emersa già allora la necessità di approfondire «la valutazione della fase di transizione verso il federalismo ed i relativi costi della transizione stessa». In effetti, fin da allora si rilevò che le ipotesi di federalismo fiscale avanzate nel dibattito italiano trascurassero, o tendessero a sottovalutare, i costi della transizione. Invero, anche il recente Rapporto annuale dell'ISAE sull'attuazione del federalismo evidenzia come l'idea di un federalismo a costo zero costituisca «una semplificazione molto forte e che, al contrario, diversi siano i motivi inducenti a ritenere che l'attuazione del Titolo V,... possa comportare oneri aggiuntivi sui bilanci dello stato e/o delle Autonomie Locali». Ma accenti preoccupati non sono mancati anche nel recente Rapporto del Centro Studi Confindustria del 2002 che ha, tra l'altro, rilevato che diverse esperienze internazionali (Fondo monetario e Banca Mondiale), hanno fatto emergere con chiarezza i rischi cui si va incontro nel passaggio da uno Stato centralizzato al federalismo. Inoltre, le esperienze internazionali segnalano un ulteriore potenziale fattore negativo, rappresentato dalla frammentazione del potere politico. Il che può far aumentare la capacità di pressione dei gruppi di interesse. Proprio nel contesto dell'indagine conoscitiva conclusasi nel 1998 fu possibile constatare, in Germania, che il Governo aveva dovuto rinunciare alla adozione di un ambizioso progetto di riforma tributaria — che, tra l'altro, avrebbe ridotto notevolmente la pressione fiscale sulle imprese — a causa della contrarietà espressa dal Bundesrat, dove la maggioranza apparteneva alle forze di opposizione. Tornando al nostro Paese, non è possibile in questa sede sviluppare compiutamente il discorso sulle più rilevanti problematiche legate al finanziamento delle competenze e ai meccanismi di perequazione, che meritano un approfondimento specifico. Basti, per ora, ricordare che l'ISAE, nel citato Rapporto, quantifica in 50 miliardi di euro — con riferimento all'anno 2000 — l'ammontare annuo della «spesa decentrata aggiuntiva della Pubblica Amministrazione Locale». Al tempo stesso, la «dimensione finanziaria del decentramento fiscale» risulterebbe di 110 miliardi di euro. La percentuale di entrate tributarie delle Autonomie Locali, rapportate al totale di quelle dell'intera Pubblica amministrazione, aumenterebbe sensibilmente: dal 20.8% attuale si passerebbe al 52,8%. Di fronte a tali entità, il Rapporto dell'ISAE così commenta: «percentuali di questo tipo devono far riflettere sui rischi connessi alla perdita di manovrabilità della leva fiscale da parte delle autorità di governo centrale». Certo, le riflessioni e i dati contenuti nei diversi studi citati non devono certo indurre ad una qualche nostalgica propensione per un ritorno al modello di Stato centralistico, ma devono far maturare la convinzione che la costruzione di un nuovo assetto federale della Repubblica costituisce una sfida straordinaria, da affrontare con equilibrio e prudenza. *Presidente Commissione Finanze e Tesoro