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IN ITALIA i dibattiti sulla previdenza, ormai da molti anni, si incentrano sui contenuti delle inevitabili riforme.

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In realtà la riforma delle pensioni non la farà il governo: la dovranno fare i professionisti del risparmio, i promotori finanziari. Proviamo ad analizzare quanto finora successo: per i cittadini i provvedimenti adottati si sono tradotti, di fatto, in un taglio della pensione cui avranno diritto in futuro. E dov'è lo spirito di positività o il vantaggio che, di solito, dovrebbe essere legato ad ogni riforma? C'è - ed era inevitabile che ci fosse - per le casse dello stato; altrettanto però non si può dire per le pensioni degli italiani. Ecco perché si potrà parlare di vera riforma solo quando la pensione di base sarà diventata quella privata; ed ecco perché diventa così prezioso il ruolo della consulenza professionale al risparmio. Qualche cifra può dare una misura del problema. La pensione pubblica, per i redditi medio-alti, in proiezione potrà assicurare solo un 25-35 per cento di quanto si percepiva durante gli ultimi anni lavorativi. Dunque, per raggiungere quel 60-65 per cento che viene ritenuto un obiettivo per mantenere standard di vita adeguati non basterà una semplice "integrazione". Servirà un apporto superiore a quello del pubblico. Tanto più che, negli anni a venire, la percentuale dello stato sarà ulteriormente rivista al ribasso. Nelle scorse settimane dall'Istat è arrivata una doccia fredda: l'istituto nazionale di statistica ha infatti rivisto le sue proiezioni demografiche e le previsioni di allungamento della vita media degli italiani. Risultato: nel 2050 gli italiani ultra sessantacinquenni non saranno 15 ma 18 milioni. Questa cifra, da sola, basta per smantellare i presupposti della riforma Dini (un errore di 3 milioni di unità, in soli 7 anni, tra la prima previsione del 97 e l'ultima del 2003) e costringe a una revisione del coefficiente di trasformazione del montante contributivo in rendita. Secondo la riforma Dini nel 2035 il coefficiente sarebbe dovuto essere pari al 6,1 per cento: chi arrivava a quella data con un'età di 65 anni e con un montante contributivo di un milione di euro, avrebbe ricevuto nel primo anno di pensione 61 mila euro, appunto il 6,1 per cento. Ebbene con questa ultima revisione il coefficiente di trasformazione si abbassa di un punto, al 5,1 per cento. Sembra poco, ma significa perdere 10 mila euro all'anno, in termini percentuali quasi il 20 per cento di quanto si era preventivato. E questa, purtroppo, non sarà l'ultimo dei tagli.

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