Super euro, made in Italy a rischio
Dopo il rally di martedì non delude nemmeno Wall Street con Dow Jones e Nasdaq in progresso. Rallenta, invece, la sua corsa l'euro, che dopo il massimo storico raggiunto ieri oltre quota 1,19 sul dollaro, ripiega leggermente e si consolida a 1,17. Bene anche Piazza Affari, dove il Mib30 ha terminato gli scambi in progresso delll'1,47% e il Mibtel recupera l'1,34%. In rialzo anche il Numtel: +1,01%. Positive tutte le blue chip a eccezione di Autostrade (-0,15%), che sconta la sua caratteristica di titolo difensivo, e Telecom Italia che cede l'1,17% e resta sotto il prezzo dell'Opa volontaria: attualmente le azioni della società telefonica vengono scambiate a 7,89 euro. Per contro, il rafforzamento delle Borse ha contribuito a calmare un po' l'euro che, dopo aver toccato martedì il nuovo massimo storico a 1,1933 dollari, ha poi ripiegato e attualmente viene trattato intorno a quota 1,1768, sui minimi della seduta. Sull'indebolimento della moneta unica pesano le attese di un taglio dei tassi da parte della Bce nella riunione del 6 giugno. Un taglio che, secondo alcuni analisti, potrebbe essere anche nell'ordine dei 50 punti base e che ridurrebbe sensibilmente il differenziale dei tassi d'interesse tra Eurolandia e Stati Uniti. Gli analisti prevedono comunque un rafforzamento dell'euro intorno a 1,25 dollari nel breve periodo per le difficoltà che hanno gli Usa a finanziare il deficit delle partite correnti, attraverso l' afflusso di capitali giornalieri negli States pari a 1,5 miliardi di dollari. E se è vero che l'altro ieri Wall Street ha dato segni di risveglio dal lungo letargo, è anche vero che per una netta e stabile inversione di tendenza del rapporto tra le due valute occorrerebbe una vera svolta nei corsi di Borsa. Cosa che per il momento è ancora difficile da prevedere. Tra gli effetti indesiderati del supereuro c'è il crollo dei prodotti alimentari del made in Italy. Lo documenta la Coldiretti nel proprio rapporto sui commercio estero sulla base dei dati Ismea/Istat: a causa del cambio sfavorevole euro-dollaro olio d'oliva, pasta, pomodori e formaggi sono diventati proibitivi per il mercato americano. E naturalmente ci rimetteranno anche i nostri produttori E gli effetti già si vedono: nei primi mesi di quest'anno si è assistito per la pasta a un calo del 9,4% in quantità e del 6% in valore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, mentre l'export di pomodori preparati o conservati ha registrato una flessione del 28,6% in quantità e del 14,5% in valore. Trend negativo anche per i formaggi a pasta dura da grattugiare (pecorino romano, fiore sardo, parmigiano reggiano, grana padano) per i quali - sottolinea la Coldiretti - si è verificato, in generale, un calo del 9,5 % in quantità e del 9,1% in valore, mentre sembra per il momento resistere l'export di olio di oliva che nel complesso mantiene sostanzialmente stabili le esportazioni con un +2,3% in quantità e un +2,1% in valore. Il cambio euro-dollaro sembra, quindi, rappresentare un freno alla presenza dei prodotti agroalimentari nazionali sul mercato statunitense dopo che - sottolinea l'organizzazione - i dati relativi al 2002 hanno evidenziato un aumento in valore del 10%, per un importo pari a 1,92 miliardi di euro rispetto a 1,75 miliardi di euro dell'anno precedente. A guidare l'export agroalimentare nazionale verso gli Usa sono i vini, gli oli extravergini di oliva, la pasta, i formaggi a denominazione di origine e i pomodori in scatola.