Cirio, i risparmiatori vanno alla riscossa
Sono stati il Siti, ovvero il sindacato italiano tutela investimento e risparmio, insieme ad altri tre investitori istituzionali stranieri, che per il momento non rivelano la propria identità, a dare vita al Comitato, che ha sede a Londra e si avvale di due advisor britannici, la banca d'affari Houlihan Lokey Howard and Zukin e lo studio legale Orrick Herrington. «Il nostro obiettivo è di rappresentare adeguatamente gli obbligazionisti - spiega Nicholas Weber, associato di Houlihan - Cirio ha i suoi advisor, i suoi legali, ed è giusto che anche le parti deboli abbiano i loro referenti». La ristrutturazione del gruppo agroalimentare è in un momento importante, visto che la società ha appena ottenuto dalle banche il famoso prestito ponte necessario per il rilancio. E ora dovrà quindi occuparsi del debito con gli obbligazionisti. Come è noto, la crisi è iniziata all'inizio del novembre del 2002, quando Cirio non rimborsò un prestito da 150 milioni di euro. Come sottolinea Weber, è stato «il primo caso di insolvenza di questo tipo da parte di un'azienda italiana». Cirio rischiò la procedura di «cross default», ovvero la dichiarazione di insolvenza su tutte le emissioni, che sarebbe stata l'anticamera del fallimento. Il peggio è stato evitato, il numero uno Sergio Cragnotti ha fatto un passo indietro, e' stato nominato un nuovo consiglio di amministrazione, presieduto da Giovanni Fontana, e sono state ripristinate le condizioni per ripartire. Il Comitato è appena nato, ma dichiara di poter già contare su una quota superiore al 10% del capitale obbligazionario. Si tratta del tetto minimo per poter, eventualmente, convocare un'assemblea. In realtà, il Comitato non ha un vero e proprio mandato corrispondente a questa quota.