controcorrente

Ma è peggio chi si lagna

Pietrangelo Buttafuoco

Infimi e puttane i giornalisti, chissà. Ma casta di sicuro sì, nonché – con l’intero mainstream – vetrina del conformismo. Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista non fanno come faceva un Giulio Andreotti che si raccomandava di non litigare mai e poi mai con la stampa. Loro, figli di un tempo tutto nuovo, prendono spunto dall’assoluzione di Virginia Raggi e vanno addosso ai giornalisti cui è mancato il finale atteso. Forse, i due, fanno come un tempo si divertiva a stuzzicare Massimo D’Alema: jene dattilografe. In ogni modo sfregiano il sussiego di un mestiere – il giornalismo – che è, ormai, dottrina del pensiero unico. ndustria culturale di infimi e di puttane a disposizione di una stretta cerchia, sempre la stessa, derivata dal patto di compromesso tra le due ex chiese, quella del Pci e quella democristiana, per quel che sono diventate adesso coi loro eredi – immarcescibili – nell’amministrare il potere assoluto e gli estremi privilegi ora che c’è da difendere il fortino assediato da una realtà sempre più distante dai loro taccuini, dalle loro frequentazioni e dalla loro retorica. Dai nostri taccuini, dalle nostre frequentazioni e dalla nostra retorica, dovremmo dire? Ebbene, no. Se c’è un discrimine, che vale in tema di giornalismo quanto anche nella realtà del dibattitto delle idee è quello tra un’Italia tenuta sempre ai margini – quella del dissenso – e quella del regime. Lo stesso regime del giornalismo da sempre sistema chiuso che i Leo Longanesi di ieri o i Massimo Fini di oggi, mai e poi mai li fa arrivare nei giornaloni, quelli delle vergini adesso trafitte, ma solo e soltanto nelle testate corsare, dove piove sale e sempre solo sale. Il giornalismo, quello istituzionale su tutti, vive in virtù dell’ipocrisia – del tradimento continuo dei valori cui dice di voler aderire, la famosa libertà avettdi stampa e l’indipendenza – e regge nel mercato grazie allo sfruttamento di precari costretti, tutti, a salari al minimo, anzi, sempre più al ribasso, costringendo all’eterna gavetta chiunque non corrisponde ai loro taccuini, alle loro frequentazioni e alla loro retorica. Ha ragione Michele Fusco, giornalista senza nessun regime, quando ieri – nel bel mezzo delle lagne per la bua subita – così twittava: «Questa catena sul web dell’orgoglio giornalistico è una roba che va oltre il patetico». Ecco, non infimi, non puttane, ma patetici.