il caso lucano
È nata una stella
Sulla testa dell’opinione pubblica, con l’arresto di Domenico Lucano – sindaco di Riace, l’angelo soccorritore dei migranti – se ne resta a galleggiare un solo messaggio: Matteo Salvini mette in galera il buon Samaritano. Lucano è ai domiciliari e l’Italia – per come ha prontamente dichiarato Roberto Saviano – è ufficialmente diventata un regime. Le spontanee manifestazioni che comunque si sono avute ovunque a difesa del sindaco calabrese e il riconoscimento corale che fa di lui l’atteso Mandela contro la deriva razzista, lasciano preludere a come finirà tra non molto e cioè bene: il governo difficilmente potrà reggere l’onda d’urto dell’emozione. È un reato d’umanità il favoreggiamento dell’immigrazione. Quando è troppo, è troppo. L’Italia, infatti, ha i suoi anticorpi. «Se Mimmo ha preso scorciatoie è stato per necessità», ha detto don Luigi Ciotti, presidente di Libera. «L’umanità non si arresta» ha intimato Luigi De Magistris, primo cittadino di Napoli, facendo rintanare i persecutori nelle loro tane, tutte di xenofobia e disumanità. Ma infatti andrà bene, anzi, meglio: tutto è possibile in Italia, fuorché scoprire l’esistenza di una magistratura agli ordini di Salvini. Impossibile. Ogni regime ha il suo limite, ogni limite ha il suo regime e la magistratura, di certo, non si fa soffiare il primato. Checché. Appena fuori da questa rogna, dunque, Lucano avrà vita nuova, anzi, nuovissima. Sarà – tanto per cominciare – ospite fisso di Fabio Fazio su Rai1; Mario Calabresi, il direttore di Repubblica, lo arruolerà come editorialista; il Parlamento Europeo lo inviterà a Strasburgo per ascoltarlo in assemblea; stessa cosa farà la Cei, l’Onu e – a occhio – anche l’Eliseo. Pubblicherà presto un libro con Mondadori, Lucano. E magari con la supervisione di Gianfranco Micciché che è sempre sensibile ai valori della solidarietà e non vuole morire razzista con Salvini. Sarà un best seller, il volume di Lucano, e anche la fiction che era stata fatta su di lui, poi bloccata da Maurizio Gasparri (manco a dirlo), verrà ricicciata – e con grande successo – tra le fichissime serie tivù, e magari rifinanziata da Sky o da Netflix. Finirà che ne avrà guadagno, buon per lui: il Viminale dovrà calare le corna e dovrà disporre, per lui, una scorta; i Festival letterari, da Mantova a Pordenone, lo reclameranno e certo, poi, non potrà più dirsi di lui «un nuovo Mandela», ma indicarlo come quello che gli soffia il posto a Saviano, sì. Si potrà. Come dice De Magistris? La savianità non si arresta.