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Il romanzo azzurro

Pietrangelo Buttafuoco
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Il fascismo è l'autobiografia della nazione. È la celebre definizione data da Piero Gobetti.  Silvio Berlusconi, invece – e non quello della recente rispettabilità istituzionale, ma il sovvertitore di ogni moralismo – è il romanzo d'Italia. Il Cavaliere di Arcore consegue a Benito Mussolini. Tutta la pletora tra l'uno e l'altro – compresi i De Gasperi, sopravvalutati tutti in virtù di gnagnera perbenista – è ammasso di comparse a scomparsa. Storia e letteratura, però, sono due distinte cattedre. Il popolo s'invera nel maestro di Predappio. Ed è «credere, obbedire, combattere». Nel fondatore di Forza Italia trova forma compiuta l'italiano “individuale”. Ed è quello che Berlusconi stesso – ai suoi di Publitalia – specificamente indicava come «arrivato alla seconda media e neppure seduto al primo banco». Pura letteratura, dunque; verità ben più fattuale del banale reale quando – ancor più che con la conta dei voti alle elezioni – in un'intervista a Sabina Began, l'Ape regina, ogni italiano trova se stesso. Come in uno specchio. L'affascinante maliarda del Bunga-bunga, intervistata da Francesca Fagnani sul Fatto, dice di lui: “Oggi avrei riso di alcune cose cui allora, invece, credevo”. Credere, obbedire, e poi ridere.

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