Severo ma Justin
Neppure "umanità" si può dire
Neppure «umanità» si può dire. Non è parola inclusiva. C'è quel qualcosa di maschio che prevarica. È la famosa uomità, se così si può dire, che – inevitabilmente – esclude. Justin Trudeau, il premier canadese, inciampa nel termine «mankind», appunto – «umanità» – e si scusa. Incontrando i cittadini di Edmonton, gli scappa di dire «l'amore materno cambierà il futuro dell'umanità» ma subito dopo si corregge: «Ci piace usare peoplekind anziché mankind – umanità – perché è più inclusivo». Dire «umanità» è offesa per le donne che non sono «uome», figurarsi per i Lgbt e Trudeau – uno che piace alla gente che piace – in ogni sua azione di governo va ad aggiustare il legno storto dell'umanità, ops, del peoplekind. Fa persino cambiare l'inno del Canada da dove toglie la sessuata parola «figli» con «noi» giusto per far camminare l'epoca «verso l'uguaglianza». Trudeau, insomma, abita la scena della rappresentazione liberal: ha la bellezza della Boschi, il cinismo villano di Renzi, il nichilismo becchino della Bonino. Gli manca solo di fare un accordo con Silvio Berlusconi e poi mette Dudù, ‘u canuzzu, nella Costituzione.