note cult
"De André-Pfm era saltato. Così li ho portati sul palco"
Un concerto magico. Fabrizio De André e la Premiata Forneria Marconi a Genova per quello che sarebbe diventato un cult della musica italiana. Un live e una tournée in cui uno dei nostri cantautori più stimati ha incontrato la più famosa band del prog italiano. Nel ’79 Antonio Bettanini era il segretario del Centro culturale «Filippo Turati» che organizzò la tappa genovese tra mille difficoltà. Più di quarant’anni dopo Bettanini svela retroscena e paure legate al concerto visto al cinema nel docufilm diretto da Walter Veltroni. Antonio Bettanini, come siete riusciti ad arrivare a De André e alla Pfm? «All’epoca ero il segretario del Centro culturale “Filippo Turati” e il presidente Attilio Oliva era un amico di Fabrizio De André. Era un giovane imprenditore, suonava il sax e condivideva con Faber la passione per la musica oltre che l’appartenenza alla borghesia genovese. Ma organizzare quel concerto non fu affatto facile». Per approfondire leggi anche: Al cinema lo storico live De André e Pfm Quali ostacoli avete dovuto affrontare? «Fabrizio De André ci diede disponibilità solo per la sera del 3 gennaio. Ma in quella data il Palazzo dello Sport di Genova non era libero. Siamo stati costretti a ripiegare sul padiglione C della Fiera. Ma il posto non era adatto a ospitare un concerto come quello». Perché? «Era freddo e non c’erano posti a sedere. Aveva una porta carraia lunga venti metri che chiaramente non si poteva aprire troppo. A Novara abbiamo affittato 5 mila sedie che ci hanno consegnato la mattina stessa del concerto. Ma una cosa è certa: a trenta metri dal palco l’acustica andava a farsi benedire». Cosa disse Fabrizio De André quando entrò nel padiglione? «Si presentò il giorno stesso del live con un borsone a tracolla. Appena entrò nel padiglione esclamò: “Belìn, cos’è questo? Un hangar?”. E aveva ragione. Non era molto contento ma aveva un atteggiamento comprensivo verso di noi. Il padiglione C della Fiera di Genova si trovava a pochi metri da Corso Italia dove aveva vissuto e a cui restò sempre legato. Insomma alla fine gli facemmo tornare il sorriso». Nei cinema abbiamo appena visto il docufilm diretto da Walter Veltroni e dedicato al concerto di Genova. Come furono possibili le riprese? «Facemmo un accordo con una televisione locale di Genova che si chiamava TVS. La qualità del suono è alta perché il fonico prese l’audio attaccandosi al mixer. Le immagini stavano per andare al macero e abbiamo rischiato di perderle per sempre. Fortunatamente Piero Frattari le ha messe in salvo». Cosa ricorda di quella serata? «È stata un’esperienza magica e una serata calorosa. Ricordo il pubblico che assisteva accovacciato per terra perché le sedie non bastavano. Genova ha dato tanto affetto al suo figlio e così lo squallore del posto è presto svanito nel nulla. De André si faceva cullare dall’entusiasmo generale. Quando il concerto annaffiato dal whisky finì, De André era come in trance. Ma in noi organizzatori prevaleva la forte preoccupazione che potesse succedere qualcosa anche a Genova». A cosa si riferisce? «In quella tournée ci furono vari episodi di contestazione. Una parte del pubblico reclamava la gratuità dei concerti e protestava. Per questo eravamo preoccupati che una cosa simile potesse succedere di nuovo. Invece fortunatamente da noi andò tutto liscio». Avete mai pensato di non riuscire a portare a termine il concerto? «È stato davvero difficile. All’inizio pensavamo di ricavarne un vantaggio economico. Invece riuscimmo a malapena a coprire le spese. Il biglietto d’ingresso costava 2.500 lire e spendemmo circa 5 milioni per comprare una pagina sul “Secolo XIX” che uscì proprio il giorno del concerto. Avevamo paura di fare brutta figura e non abbiamo lasciato nulla al caso». Alla fine De André fu contento? «Sì anche perché prima della tournée era molto preoccupato. Aveva paura di essere sovrastato dalla Pfm e di scomparire dietro il suono della batteria. Eravamo abituati a sentirlo in modalità chansonnier. Lui era piuttosto scettico ma anche lui dovette ammettere che quell’incontro fu molto felice. Tra lui e la band si creò un’alchimia speciale. Dopo quella tournée la musica italiana e quella di De André non furono più le stesse».