caos sanremo
Televoto anticipato: è derby Rita Pavone-Rula Jebreal
Pavonisti o Jebrealisti suona male. Dunque pietà, vi preghiamo. Risparmiateci l’ennesima italiota gazzarra dell’ «o di qua, o di là». Accade che Sanremo, quest’anno, è la replica di una nota pubblicità degli anni ’80, dove un povero idraulico correva da una parte all’altra del bagno per tappare delle perdite d’acqua: chiusa una ne affiorava un’altra. E dunque, intanto, partiamo da Rula Jebreal. Sarà a Sanremo e dunque la libertà nel nostro Paese è salva. Lo ha deciso un confronto ieri tra l’Ad del servizio pubblico Salini, la direttrice di Rai1 Teresa De Santis e il direttore Artistico Amadeus. Si chiude in bene, quindi, una polemica che ha tenuto i politici della maggioranza più impegnati dei venti di guerra in Libia o in Medio Oriente (non è uno scherzo: vada, chi ne ha tempo e occasione, a leggersi le dichiarazioni). Il tema riguardava questo: siccome la signora Jebreal è una delle voci più note del politicamente corretto italiano che calcano i media del nostro Paese e non solo, pronta a vedere razzisti e fascisti dietro ogni pertugio, l’ipotesi che fosse presente a Sanremo aveva scatenato una ridda di sdegno sui social. Poi era partita la controffensiva dei partiti della sinistra a tutela della giornalista, e dagli contro i sovranisti, Salvini e bla bla. Da questo punto di vista, ora è tutto risolto, la giornalista salirà sul palco esibendosi in un monologo sulle donne. Ma per una perdita riparata, ecco sgorgare un’altra polemica. E riguarda Rita Pavone, cantante dalla voce energica ed il piglio brillante. Il suo nome riporta ad un’Italia in bianco e nero, quella del Giornalino di Giamburrasca e della Pappa al Pomodoro. Quello fu il momento in cui la Pavone entrò nell’immaginario nazionalpopolare, e tra alti e bassi ha sempre avuto nel nostro Paese un buon riscontro di pubblico anche negli anni successivi. Tornerà a calcare l’Ariston dopo 48 anni. Bella storia, si dirà. Piano, piano. Perché la signora Pavone ha avuto il grande peccato di esprimersi su determinati temi. Ai Peral Jam, per esempio, che fecero un appello contro le politiche di Salvini di contrasto all’immigrazione, ebbe la malaugurata idea di rispondere con il più classico del «pensate ai fatti vostri». Su Greta Thunberg le scappò leggermente la frizione, visto che la definì personaggio da film horror. Ma poi si scusò. Comunque, tanto è bastato perché qualcuno sui social ne cucisse un curriculum da sovranista. E via di strali, di sdegni e di condanne. Come se una cantante non potesse avere delle idee (fosse stato applicato lo stesso criterio in senso inverso, ossia con i cantanti di sinistra, forse Sanremo avrebbe chiuso dopo una manciata di edizioni). Peraltro, Red Ronnie ne ha ricordato la storia: «È un’artista con una carriera che nessuno ha in Italia a livello femminile». La questione ha, ovviamente, invaso la sfera politica. Il leader della Lega Salvini ha ironizzato: «La sinistra ha scoperto un nuovo nemico del popolo». Mentre, dal Pd, Andrea Orlando ha gettato acqua sul fuoco, a suo modo: «Ma davvero pensate che la cosa più grave che sta facendo un’azienda evidentemente allo sbando come la Rai sia quella di invitare Rita Pavone a Sanremo?». E poi c’è Giovanni Toti, che declina tutto a livello domestico «Bene la Jebreal e bene la Pavone al Festival... basta che riescano ad arrivarci!», osserva alludendo giustamente ai disastri delle strade liguri dopo le ondate di maltempo. Insomma, non si sfugge. Sotto i fragori del mondo in subbuglio, si scavano di nuovo le trincee. Prima furono guelfi contro ghibellini. Poi o con la Cuccarini o con la Parisi. Ed eccoci alla Pavone e la Jebreal. Stai a vedere che, all’epoca dei diritti, ce n’è uno nuovo per cui tocca lottare: quello al «chi se ne frega».