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Altro che rap. Allevi sceglie la musica sacra
Un nuovo album, una tournée nei teatri e la voglia di spostare sempre più avanti le lancette della musica classica contemporanea. Il compositore Giovanni Allevi si prepara all’Hope Christmas Tour che partirà il prossimo 1° dicembre da Milano e proseguirà per tutte le feste fino a gennaio. Nel frattempo la pubblicazione del nuovo album «Hope» in cui si avvale del Coro dell’Opera di Parma, delle voci bianche dei Pueri Cantores della Cappella Musicale del Duomo di Milano e dell’Orchestra Sinfonica Italiana. Per approfondire leggi anche: Da Mancini ad Allevi, stelle e solidarietà per il Bambino Gesù Giovanni Allevi, il titolo del nuovo album è «Hope». In cosa spera? «Spero che la nostra società possa dare un ruolo centrale al femminile che rappresenta il principio dell’accoglienza, diversità, creazione del nuovo e mediazione. Tutto ciò che di più lontano c’è dalla competizione e dallo sfruttamento. Spero che si torni a una coscienza condivisa del rispetto della natura perché solo armonizzandoci ad essa ritroviamo il contatto con forze ataviche e divine che abbiamo perso. E spero anche che in futuro venga dato un posto di rilievo all’infanzia. I bambini hanno uno sguardo magico e incantato sul mondo e abbiamo tanto da imparare da loro». In «Hope» i bambini sono presenti come Coro dei Pueri Cantores della Cappella musicale del Duomo di Milano. Che impronta musicale hanno dato all’album? «È un album di musica sacra composto per una formazione imponente che conta un coro polifonico, i solisti e l’orchestra sinfonica. In alcune tappe del tour saranno con me anche i bambini della Cappella del Duomo di Milano e mi piacerebbe averli per tutta la tournée. Per comporre l’album ho impiegato circa 3 anni e l’abbiamo registrato l’estate scorsa attraverso sessioni che hanno portato i musicisti allo sfinimento. Il lavoro è stato maniacale e finalizzato a ottenere la massima espressività. Credo che la qualità, l’impegno e la concentrazione ripaghino sempre». Quali sono le influenze presenti nelle nuove composizioni? «Certamente Bach, Mozart e Handel. Per questo in “Hope” ho inserito anche tre loro capolavori per coro e orchestra. Senza dubbio rappresentano i miei punti di riferimento assoluti. Ma come compositore non posso fermarmi alla contemplazione della loro grandezza. Devo trovare il coraggio di fare quel salto spaventoso e sublime che è comporre una musica nuova che racconti il nostro tempo e non un’epoca che risale a tre secoli fa». A proposito di musica nuova, cosa pensa della scena contemporanea? «Oggi c’è la musica elettronica che domina ovunque. I testi della musica trap parlano di disincanto e nichilismo. Io mi ritrovo ad esprimermi in maniera quasi diametralmente opposta. Forse perché mi faccio interprete di un sentimento collettivo ancora nascosto che desidera altro. Ma la musica trap è comunque una verace manifestazione del presente. È una fotografia del nostro tempo». Quindi ascolta la trap anche se così lontana dal suo mondo musicale? «Ho deciso di prendermi tempo per ascoltarla e ne ho apprezzato la spontaneità e il fatto che arriva alle orecchie dell’ascoltatore senza nessuna mediazione. Ma non ne condivido il disincanto presente nella maggior parte dei testi. Credo ci sia un orizzonte immenso anche metafisico in cui immergersi. Credo nel lieto fine che attende le nostre esistenze. I musicisti trapper, invece, sono effettivamente troppo pessimisti per i miei gusti». Che opinione si è fatto dei talent show? «Non ne penso né bene né male. Sono una manifestazione dello spirito del tempo. Ormai anche la nostra vita quotidiana lontano dai riflettori è diventata un talent continuo. C’è una cosa, però, che non condivido. Che il talento venga stabilito dal consenso collettivo. In realtà il talento non è sempre immediatamente riconoscibile da tutti. Le più grandi menti geniali della storia sono rimaste incomprese dai loro contemporanei. Più sei profondo nella tua opera, meno persone riescono a comprenderla fino in fondo. Insomma Mozart non avrebbe mai vinto un talent». Nonostante tutto lo farebbe il giudice in un talent show? «Me l’hanno proposto e ne sono stato onorato. Ma in quest’ultima parte della mia vita ho difficoltà a giudicare gli altri. Penso che ogni artista debba trovare la sua strada nella discrezione, seguendo il proprio tempo».