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Feltri, irriverente sì ma con grande stile

Luigi Bisignani
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Caro direttore, e se «L'irriverente», aggettivo con cui Vittorio Feltri si definisce nel suo ultimo best seller, fosse un grande bluff? Leggere il libro tutto d'un fiato fa giungere a questa conclusione. Attraverso i ritratti di personaggi, più o meno famosi, che hanno segnato la vita dell'influente e «irriverente» giornalista: da Enzo Biagi a Giuseppe Prezzolini, da Gianni Brera a Giorgio Gaber non c'è quasi traccia di quel polemista che manda a quel paese uomini e donne meglio ancora se acclamati e potenti. Tranne in qualche gustoso episodio quando un sovrastimato direttore di giornale, Alberto Cavallari, si tuffa in mutande in laguna, a Venezia, per raggiungere la redazione poiché non trovava una lancia o un vaporetto. Né si parla, fortunatamente, di quella maestrina rossa con la quale polemizza in televisione e che ogni sera, alle otto e mezzo, ha pronta la matita blu per i nemici politici e carezze per gli amici potenti che incontra negli studi televisivi e soprattutto anche in privato. Da «L'irriverente» - memorie di un cronista, edito da Mondadori, viene fuori l'immagine di un protagonista assoluto del giornalismo italiano e di una persona dall'animo tenero. Come può non essere tale un uomo che dorme con il suo gatto? «Vecio dormiva con me. Ogni sera lo prendevo da sotto la pancia con una mano e andavamo a nanna. Non voleva stare sopra le coperte, ma sotto appiccicato al mio fianco. Questa consuetudine proseguì pure quando diventò un gattone adulto e pasciuto. Forse mi considerava la sua mamma. Ebbi un momento di totale disperazione quando mi resi conto che non ci sarebbe più stato, ancora oggi dopo cinquanta anni ne conservo un tenerissimo ricordo». E, a proposito di mamma, il racconto della sua, rimasta vedova giovanissima e segnata dalle disavventure lavorative della vita, è dolcissimo. «Quando rincasava mi catapultavo giù dalle scale a velocità supersonica per abbracciarla il prima possibile avvinghiandomi a lei con tutto me stesso. Nutrivo un amore folle verso mia madre [...]. Allorché entrò in agonia, sentire i suoi lamenti mi era insopportabile. La vedevo soffrire e mi sentivo impotente. Mi scagliai contro uno dei medici perché non era accettabile che mia madre patisse tanto [...]. Quando mi lasciò, raggiunta la macchina chiusi lo sportello, accesi il motore ed esplosi in un pianto dirompente. Incontenibile. Avevo come una pesante sensazione della fine di tutto, della rescissione totale e irreversibile delle mie radici».
 Ma dove «L'irriverente» diventa davvero un gigante è quando entra nei drammi che troppo spesso subiscono gli uomini e li difende quando il mondo crolla loro addosso con un compagno di viaggio eccezionale, Marco Pannella del quale tratteggia risvolti di grande umanità e di divertimento. Sono i capitoli su Angelo Rizzoli e su Enzo Tortora, sbattuto in carcere e messo alla gogna per anni. Feltri lo difese da subito senza se e senza ma, rimanendo addirittura bandito da quel circo mediatico mosso dalle Procure che diventa arma letale in mano ai pubblici ministeri. «L'acredine dei colleghi verso Enzo si riversò pure su di me. Mi prendevano per il culo, questo lo ricordo bene. Ma non me ne fregava niente, io non facevo parte della congregazione. Me ne stavo isolato». E con la schiena dritta ricorda anche due protagonisti dell'editoria e del giornalismo, ancora Angelo Rizzoli e poi Franco Di Bella. Angelo prima di tutti aveva capito che la stampa era in declino, soppiantata dal web, e sarebbe stata «la morte del cigno». Parole profetiche con le tirature dei giornali oggi in caduta libera. E a Franco Di Bella, disarcionato dalla vicenda della P2, ma che aveva fatto tornare grande, dirigendolo, il Corriere della Sera, uno struggente addio: «Una sera svuotò il suo ufficio e nessuno venne a proporgli un saluto. Io non ero nella risma dei beatificati da Di Bella. Io e la collega Fiorella Minervino percorremmo il lungo corridoio andandogli incontro. Egli posò la borsa piena di cianfrusaglie e ci osservò avvicinarci con un'aria vinta e affranta. Lo abbracciammo come si abbraccia un padre, come si abbraccia un caro amico, come si abbraccia un direttore che è stato grande e ti ha molto insegnato. Come tre imbecilli scoppiammo a piangere mestamente». Irriverente un cazzo, come diresti tu, caro Feltri.

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