Applausi e polemiche per il "J'Accuse'" di Polanski
Era senza dubbio uno dei film in concorso più attesi alla Mostra del Cinema di Venezia
Era senza dubbio uno dei film in concorso più attesi a Venezia, e non solo per la caratura della storia e dei protagonisti. La critica ha accolto con favore e applausi "J'Accuse (L'ufficiale e la spia)", ultimo lavoro di Roman Polanski, anticipato da una coda di polemiche in scia agli echi del movimento #Metoo. Il regista 86enne è stato condannato per lo stupro di una 13enne avvenuto nel 1977 a Los Angeles, da allora risulta latitante negli Usa e alla conferenza stampa prima dell'apertura della Mostra la presidente di giuria Lucrecia Martel ha detto che non avrebbe partecipato al gala del film, in solidarietà con le donne vittime di violenza. I produttori hanno minacciato di ritirare la pellicola e Martel ha dovuto precisare di non avere alcun tipo di pregiudizio verso l'opera. Per quietare la bufera Luca Barbareschi, uno dei produttori, ha chiesto di lasciare "qualsiasi polemica alle nostre spalle, questo non è un tribunale morale". Insomma, "il passato è passato, la giuria deve giudicare, il pubblico vedere il film e applaudire, se vuole". Certo non ha contribuito a rasserenare gli animi un'intervista rilasciata dal regista premio Oscar de 'Il pianista' e 'Chinatown' allo scrittore francese Pascal Bruckner in cui ha parlato di analogie tra la propria vicenda e quella del film, incentrata sull'affaire Dreyfus, l'errore giudiziario con sfondo di antisemitismo che portò alla condanna per spionaggio di un giovane ufficiale ebreo nella Francia del 1895. "Nella storia a volte trovo momenti che ho vissuto io stesso, posso vedere la stessa determinazione nel negare i fatti e condannarmi per cose che non ho commesso", l'attacco-difesa del regista nell'intervista. "Ringrazio dio di aver potuto lavorare con Polanski e aver potuto dare al pubblico questa storia che è ancora di un'attualità sconcertante", le parole di Barbareschi. "La storia la conoscevo e non la conoscevo. Tutto il film è vero, anche i dettagli. Mi ha appassionato, perché alla fine a 36 anni ho conosciuto la storia di Dreyfus, che in Francia tutti conoscono senza conoscerla", ha spiegato in conferenza stampa Louis Garrel, uno dei protagonisti insieme a Jean Dujardin e a Emmanuelle Seigner, moglie di Polanski, "un giorno sul set Roman mi ha detto che dovevo conoscere una persona, era una donna: la figlia piccola di Dreyfus. I suoi figli sono stati tutti deportati, anche dopo quella tragedia hanno vissuto l'inferno". In "J'accuse" c'è anche un po' di Italia, con la coproduzione di Rai Cinema. A difendere il regista si è schierato anche l'ad Paolo Del Brocco: "Crediamo che Polanski sia un genio, siamo orgogliosi di avere il suo film nel nostro listino".