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Johnson Righeira vola alto: "Voglio tornare numero 1"

Stefano Righi è super carico e annuncia inediti e progetti per il 2019. "Ho ancora molto da dire. Riuscirò a togliermi grandi soddisfazioni"

Carlo Antini
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È ancora in pista con serate in giro per l'Italia. E vari progetti che passano per omaggi agli Skiantos e nuovi singoli prodotti dai fratelli La Bionda. Basta pronunciare il nome Johnson Righeira per evocare hit degli anni '80 che hanno fatto epoca. Da «Vamos a la playa» a «L'estate sta finendo», brani che hanno segnato più di un'estate finendo dritti nell'immaginario italo-disco di un intero Paese. E anche di più. Johnson Righeira, a cosa si sta dedicando in questo periodo? «Sono sempre in giro per l'Italia per serate e concerti. Il mio repertorio è quello dei Righeira che è ancora richiestissimo ovunque. Poi c'è la cover di “Mi piaccion le sbarbine” che è un omaggio agli Skiantos fatto con iPesci di Torino. Il video della canzone è stato girato nella casa d'appuntamenti delle bambole LumiDolls. Infine in primavera uscirà un inedito prodotto dai fratelli La Bionda. E mi piace ricordare anche la collaborazione con Nevruz e quella con Megha, un giovane romano concentrato sul pop elettronico». Le sue collaborazioni con giovani musicisti dimostra che è ancora viva l'eredità lasciata dai Righeira. Cosa ne pensa? «Sono d'accordo e penso anche ai The Giornalisti. L'italo-disco degli anni '80 ha fatto scuola per la sua capacità di coniugare elettronica e melodia. In quegli anni in classifica c'erano sempre pezzi italiani». Le piacciono i giovani musicisti italiani di oggi? «Dipende. Ci sono quelli che affrontano tematiche per così dire ex giovanili e poi ci sono rapper e trapper che parlano soltanto di ragazze e aerei privati. Secondo me il migliore è Young Signorino che è completamente fuori dagli schemi. È diverso da tutti gli altri e sfugge a qualsiasi tipo di catalogazione». Che forse erano le stesse qualità che avevano i Righeira? «Di certo i Righeira erano spiazzanti e questo era il loro punto di forza. Senza dimenticare la leggerezza e l'atteggiamento spensierato con cui affrontavamo anche argomenti seri. Basti pensare a "Vamos a la playa" che, in realtà, parla di radiazioni nucleari e spiagge post atomiche. È stato un momento magico e irripetibile. I nostri pezzi sono ancora lì. Erano successi internazionali e sono diventati classici». Cosa le hanno lasciato in eredità i Righeira? «Mi hanno lasciato il mio modo di essere e la mia dimensione artistica. Sono malinconico e curioso ma anche cialtrone. Sono sempre attratto dal pop e mi definisco warholiano. Una sorta di figlio illegittimo di Warhol. Oggi ci vorrebbe quello spirito goliardico di un tempo, lo spirito Righeira. Eravamo una sorta di lavatrice che mescolava futurismo e pop. Non ci prendevamo molto sul serio. Oggi è tutto più drammatico». Perché con Stefano Rota (Michael Righeira) avete deciso di far terminare quell'esperienza? «Perché non era rimasto più nulla. Si era persa quell'alchimia particolare che era stata alla base di tutto. Non ci divertivamo più. Non entro nei dettagli ma adesso abbiamo troncato tutti i rapporti». A parte rapper e trapper, cosa pensa della musica italiana di oggi? «Ci sono lati positivi e negativi. Purtroppo è scomparso il supporto che dava concretezza e la musica ha perso importanza. Oggi si parla solo di file e le canzoni sono diventate usa e getta. D'altra parte, però, la tecnologia è molto democratica ed è alla portata di tutti. Se si è bravi, oggi chiunque può fare un disco professionale direttamente a casa. Un tempo tutto questo era semplicemente impensabile». I talent show fanno bene o male? «Senza mezze misure hanno rovinato la musica. Servono solo alle case di produzione e poco ai giovani talenti. Certo, ogni tanto qualcuno esce fuori ma lo fanno soprattutto per fare incetta di like su Facebook». E lei che rapporto ha con i social e le nuove tecnologie? «A dire il vero non capisco alcune cose che accadono. Ho chiesto a Facebook di avere il bollino blu come profilo ufficiale ma non me l'hanno dato. Praticamente è come se fossi uno che si è messo a fare musica da un giorno all'altro, senza avere alle spalle milioni di dischi venduti». Ci avviciniamo a grandi passi al prossimo Sanremo. Cosa pensa del Festival di Baglioni? «L'anno scorso si è barcamenato tra vecchio e nuovo. Vediamo cosa succederà quest'anno anche se sembra ci sia più spazio per le novità e le nuove tendenze». Lei non ci pensa mai a tornare sul palco dell'Ariston? «Mai dire mai. Un giorno potrei anche tornare, chissà. Ma prima devo riconquistare il terreno perduto in termini di visibilità». In passato si è avvicinato alla politica. Prima o poi ci potrebbe essere una discesa in campo? «Macché, non ci penso proprio. Mi è capitato di aiutare Rizzo in un'elezione amministrativa di Torino ma la politica è un mestiere che non si improvvisa. Adesso sono diventati tutti esperti in qualcosa ma va tutto a discapito della qualità». Ce l'ha ancora un sogno nel cassetto? «Tornare al numero uno in classifica. Più che un sogno è la voglia di tornare a graffiare. Penso di avere materiale forte, soprattutto l'inedito prodotto dai fratelli La Bionda. Da lì potrebbe iniziare un nuovo percorso artistico. Penso di avere ancora qualcosa da dire. Non è una ripicca ma voglio togliermi qualche soddisfazione. Due, tre colpetti vorrei ancora piazzarli. E poi ci sono i progetti non artistici...». E quali sono? «Una casetta in campagna con una piscina per rilassarmi. E poi con alcuni amici aprire una piola, una sorta di vineria dove mangiare e bere qualcosa nello spirito della tradizione».

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